Corriere della Sera (Roma)

Soccorsi, sotto accusa il 112

Allarme Il numero unico per le emergenze al centro delle polemiche. La replica: «Obbligati a rispettare le procedure» I sindacalis­ti di vigili del fuoco, polizia e sanità: «Con noi ritardi e incomprens­ioni»

- Frignani

«Ritardi, incomprens­ioni, pericolose sovrapposi­zioni». I sindacati delle forze dell’ordine e degli enti di soccorso contro il nuovo numero unico d’emergenza 112, al centro delle polemiche domenica dop0 il tweet dell’avvocato Bongiorno sui presunti ritardi a San Lorenzo in Lucina. «Noi a posto», replicano dal Nue. «Siamo il futuro dell’emergenza a Roma».

«Ritardi, incomprens­ioni, doppioni». E il 112, o meglio l’uno-uno-due - il nuovo numero unico per le emergenze, da non confondere con quello dei carabinier­i - finisce sotto accusa da parte dei sindacati delle forze dell’ordine e degli enti di soccorso. Un duro colpo proprio all’indomani della morte dell’operaio filippino nell’incendio del bar Ciampini a piazza San Lorenzo in Lucina, con i tweet dell’avvocato Giulia Bongiorno che hanno fatto scoppiare il caso sull’omologo europeo del mitico 911 americano. Alle critiche su presunti ritardi nei soccorsi, i vigili del fuoco hanno replicato: «Noi lì in 4 minuti».

«Piuttosto - ribatte Rossano Riglioni, segretario romano del Conapo, il sindacato autonomo dei pompieri - è da tempo che chiediamo si faccia luce sulla gestione del numero unico a Roma, istituito come un call center gestito dalla Regione senza la presenza di operatori dei vigili del fuoco e delle forze di polizia con un meccanismo che vanifica il concetto di pronto intervento». Riglioni rincara la dose: «Da mesi le polemiche sono all’ordine del giorno per i ritardi e per le lunghe telefonate cui vengono sottoposti i cittadini che segnalano emergenze». L’allontanam­ento di un operatore che ha risposto male a una cittadina che segnalava un abuso, le critiche dell’imprendito­re che ha contribuit­o a salvare dei migranti in mare che lo avevano contattato dal barcone («All’uno-uno-due mi hanno preso per un mitomane») hanno già rischiato di mettere in cattiva luce la sala operativa sulla Laurentina, inaugurata in pompa magna nell’autunno scorso.

«C’è un indubbio allungamen­to dei tempi d’intervento del 118 - accusa Massimo Matteo, segretario Uil Roma e Lazio ed esperto in questioni sanitarie - e poi non si capisce chi, a questo punto, assegna il codice d’urgenza alla chiamata. Perché costringer­e il cittadino che ha subito bisogno d’aiuto a ripetere due volte la stessa segnalazio­ne? In quella sala non c’è personale medico in grado di fornire indicazion­i. E questo è pericoloso». I sindacati della polizia non la pensano in modo molto diverso.

«Il lavoro della sala operativa del 113 è rallentato, condiziona­to anche per gli agenti su strada - sottolinea Giorgio Innocenzi, segretario generale della Consap -. In quella sala non ci sono persone con particolar­i attitudini operative. E spesso la seconda chiamata alla polizia non contiene elementi importanti, magari detti nella prima. Sono anomalie che sono già state segnalate al Dipartimen­to di pubblica sicurezza».

Accuse pesanti alle quali ribatte il direttore dell’uno-unodue, Carlo Rosa, già vigile del fuoco (capo dei sommozzato­ri di Roma): «Il nostro è un sistema in funzione in tutta Europa, che da dicembre a oggi ha già smistato 950mila chiamate. Un errore, semmai c’è stato, ci può anche stare. Non abbiamo deciso noi di aprire questa sala - aggiunge -, è una legge dello Stato. E comunque domenica non ha sbagliato nessuno, purtroppo non è stato umanamente possibile salvare quella vita. Nella relazione che ho inviato al prefetto c’è scritto che abbiamo ricevuto 11 telefonate, una delle quali dell’avvocato Bongiorno. Non era la prima: i soccorsi erano già partiti».

Rosa sottolinea anche che «il Viminale ci controlla tutti i giorni, in caso di problema ne rispondo io in prima persona, ma è un fatto che a Roma le chiamate di soccorso si sono ridotte da 15 mila a 7.7mila, delle quali solo 2.500 vengono girate da noi alle forze dell’ordine, ai pompieri e al 118. Le altre non sono d’emergenza e tocca a noi filtrarle. Siamo obbligati a chiedere nome e cognome al cittadino. Le soffiate anonime non sono più ammesse. Riempiamo una scheda e la inviamo a chi dovrà intervenir­e: non è previsto che gli altri richiedano al cittadino le stesse cose. Perché non ci sono agenti o infermieri in sala?», conclude poi Rosa. «Perché è un call center laico. Rispondiam­o in sei secondi e mezzo (prima erano 10) e un giorno saremo l’unico punto di riferiment­o telefonico per chi ha bisogno di aiuto».

La replica Abbiamo l’obbligo di identifica­re chi telefona

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