Echi di mafia con «Preamleto»
Con una tragica risata Amleto entra nella classica vicenda shakespeariana, uscendo di scena da questo «Preamleto» scritto da Michele Santeramo, che si replica all’Argentina sino a domenica con la regia di Veronica Cruciani. È un prequel, una situazione in cui il futuro ben noto è tutto in fieri e, proprio per questo, ambiguo, aperto a diverse possibilità. L’Amleto qui ha tratti pirandelliani e ha qualcosa dell’Enrico IV, suo padre il Re con il suo alzheimer (non ricorda e non riconoscere nemmeno la moglie Gertrude), che non si sa se sia vero o simulato. Diviene così difficile distinguere tra realtà e recita, tra la commedia della vita e l’ineluttabilità di un tragico destino. Come evidenzia la scena prismatica di Barbara Bessi, tutti i personaggi è come fossero costretti in un angolo, e quindi spinti a rivelarsi davanti al vecchio Re che pare non essere più in grado di comandare, ma che mostra sprazzi di saggezza mentre si dice pronto a morire. Vorrebbe che la vita violenta che lo ha costretto in un bunker cambiasse e convincere Amleto, che invece vuol prendere il suo posto e la sua ferocia. Inscena così la propria morte, complici il suo fedele fratello Claudio, la moglie che freme per rifarsi una vita, l’amico Polonio, presentandosi al figlio come il classico spettro, che ora però lo incita (invano) a cercar «di scansare l’avvenire» a «non vendicarlo mai», a «liberarsi da assassinii e potere». Un buon lavoro (ma perché battute in dialetto? echi di mafia?) sulla linea del Teatro di Roma di proporre nomi nuovi, supportandoli con allestimenti e attori di qualità come Massimo Foschi e Manuela Mandracchia, il Re e Gertrude, con accanto l’Amleto di Matteo Sintucci, il Claudio di Michele Sinisi e il Polonio di Gianni D’addario.