Corriere della Sera (Roma)

Echi di mafia con «Preamleto»

- Paolo Petroni

Con una tragica risata Amleto entra nella classica vicenda shakespear­iana, uscendo di scena da questo «Preamleto» scritto da Michele Santeramo, che si replica all’Argentina sino a domenica con la regia di Veronica Cruciani. È un prequel, una situazione in cui il futuro ben noto è tutto in fieri e, proprio per questo, ambiguo, aperto a diverse possibilit­à. L’Amleto qui ha tratti pirandelli­ani e ha qualcosa dell’Enrico IV, suo padre il Re con il suo alzheimer (non ricorda e non riconoscer­e nemmeno la moglie Gertrude), che non si sa se sia vero o simulato. Diviene così difficile distinguer­e tra realtà e recita, tra la commedia della vita e l’ineluttabi­lità di un tragico destino. Come evidenzia la scena prismatica di Barbara Bessi, tutti i personaggi è come fossero costretti in un angolo, e quindi spinti a rivelarsi davanti al vecchio Re che pare non essere più in grado di comandare, ma che mostra sprazzi di saggezza mentre si dice pronto a morire. Vorrebbe che la vita violenta che lo ha costretto in un bunker cambiasse e convincere Amleto, che invece vuol prendere il suo posto e la sua ferocia. Inscena così la propria morte, complici il suo fedele fratello Claudio, la moglie che freme per rifarsi una vita, l’amico Polonio, presentand­osi al figlio come il classico spettro, che ora però lo incita (invano) a cercar «di scansare l’avvenire» a «non vendicarlo mai», a «liberarsi da assassinii e potere». Un buon lavoro (ma perché battute in dialetto? echi di mafia?) sulla linea del Teatro di Roma di proporre nomi nuovi, supportand­oli con allestimen­ti e attori di qualità come Massimo Foschi e Manuela Mandracchi­a, il Re e Gertrude, con accanto l’Amleto di Matteo Sintucci, il Claudio di Michele Sinisi e il Polonio di Gianni D’addario.

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