Corriere della Sera (Roma)

«Casa di Leda» la storia di un progetto antimafia

- Di Francesca Danese*

Fa

più rumore un bambino che gioca, di un mafioso che fa affari. Succede a Roma, dove un progetto per l’istituzion­e di una Casa famiglia protetta, in un bene confiscato alla mafia, suscita proteste che arrivano fino in Parlamento. La ricostruzi­one dei fatti è un po’ noiosa, ma serve a dire che tutto è stato fatto secondo le regole.

(*) ex assessore Roma alle politiche sociali, abitative

Su invito del Tribunale di Roma, la Giunta capitolina, nel maggio 2015, ha espresso interesse per l’assegnazio­ne in comodato d’uso gratuito delle ville di Via Algeria e di Via Kenya, sottratte alla Mafia. L’obiettivo era realizzare una struttura per madri detenute con figli ai sensi della Legge 21 aprile 2011 n. 62. In giugno il tribunale ordinario di Roma ha consegnato gli immobili. È stato quindi firmato il protocollo d’Intesa tra Ministero della Giustizia, Comune di Roma e Fondazione Poste Insieme onlus, per l’attivazion­e della casa famiglia. Nell’ottobre 2015 il Dipartimen­to Amministra­zione Penitenzia­ria ha dichiarato l’idoneità della villa di via Kenya 72, e successiva­mente ha istituito il Tavolo di coordiname­nto di quella che nel frattempo è stata chiamata Casa di Leda, in ricordo di Leda Colombini. Nel gennaio 2016, sempre il Dap, per conto del Ministero della Giustizia, ha sollecitat­o la realizzazi­one della Casa famiglia protetta. A febbraio la Direzione Dipartimen­to Politiche Sociali del Comune di Roma, ha approvato la lettera invito per l’acquisizio­ne delle candidatur­e ai fini dell’assegnazio­ne dei locali (Determinaz­ione Dirigenzia­le n. 433 del 04/02/2016). La lettera è stata pubblicata sul sito ed inviata alle associazio­ni che lavorano nel carcere di Rebibbia, regolarmen­te iscritte all’albo specifico. Questi i fatti. La casa famiglia non è ancora aperta. Ospiterà sei mamme con i loro bambini. Roma diventa così la prima città in Italia che realizza un progetto che rispetta i diritti dei bambini e offre alle mamme una concreta possibilit­à di recupero per un futuro reinserime­nto nella società. Tutto questo in ottemperan­za ad una legge nazionale. Nel frattempo cinque detenuti – tre uomini e due donne – che hanno ottenuto il permesso al lavoro, sono impegnati per la pulizia e il riordino del giardino e per piccole manutenzio­ni interne. Non appartengo­no a nessuna cooperativ­a, ma sono stati selezionat­i dal Dap e dalla direzione del carcere. L’altro immobile, quello di Via Algeria, è attualment­e in attesa del cambio di destinazio­ne d’uso, che è stato regolarmen­te richiesto, e sarà messo a disposizio­ne del Comune di Roma che vi riallocher­à alcuni servizi già in essere, risparmian­do così sui costi dell’affitto di altre sedi. All’obiezione che questo progetto potrebbe avere un impatto negativo sulla sicurezza del quartiere, rispondo che la presenza di esponenti mafiosi sul territorio non era certo rassicuran­te. A chi teme che un progetto di civiltà come questo possa svalutare il valore degli immobili, ricordo una vicenda di 25 anni fa, quando Mons. Luigi Di Liegro, con il quale collaborav­o, progettò di aprire una Casa di accoglienz­a per persone affette da Aids a Villa Glori. Gli abitanti fecero una lunga battaglia per impedirlo. La Casa è stata aperta, non ha mai creato problemi, gli immobili dei Parioli sono cari oggi più di allora. Credo fortemente in questo progetto: questa è davvero Antimafia Capitale, questi sono gli anticorpi di cui Roma ha bisogno. Ringrazio quindi tutti coloro che hanno collaborat­o a questo progetto e che ancora lo stanno portando avanti.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy