Giubbonari, sfratto confermato
Il Tar sulla storica sede del Pd. Ma i militanti si ribellano: «Siamo pronti a resistere»
Il Pd dovrà lasciare la storica sezione di via dei Giubbonari. Il Tar, infatti, respinge il ricorso dei dem contro lo sfratto stabilito dal commissario Tronca il 15 dicembre. I militanti non mollano: «Siamo pronti a resistere allo sgombero».
Compagni, addio. Non è ancora la parola fine — c’è ancora un ricorso da giocare e poi, chissà, magari dopo il voto si ri-cambia ancora — ma per ora lo sfratto del Pd dalla storica sede di via dei Giubbonari assomiglia molto ad un pezzo di storia di Roma che se ne va.
E non solo perché, ad essere sgomberato, dovrà essere il circolo dove una volta era iscritta tutta la direzione nazionale — da Giorgio Napolitano a Palmiro Togliatti, da Pietro Ingrao a Giorgio Amendola — e quello che più di tutti gli altri incarna la storia del Pci-Pds-Ds-Pd nel dopoguerra.
Ma anche perché la linea dura imposta dal commissario Francesco Paolo Tronca segna la fine di un’epoca: quella in cui la politica chiudeva un occhio sulla politica. E dove potevano anche esserci sedi di proprietà del Campidoglio affittate a partiti morosi.
La motivazione del Tar parla «di mancanza di alcun atto di concessione, nonostante la pluriennale occupazione dell’immobile» e conferma così la determinazione dirigenziale dello scorso 15 dicembre (il Pd è stato condannato anche a pagare anche le spese legali). Ma è chiaro che tutto parte dalla morosità del circolo che, secondo i calcoli più aggiornati, si aggira intorno ai 180 mila euro, accumulati dal 1984 ad oggi ma moltiplicatisi negli ultimi 6 anni. Da quando, cioè, la giunta di centrodestra guidata da Gianni Alemanno decise di aumentare il canone di locazione alla sezione di via dei Giubbonari, fissato un tempo (dal 1946, quando il Comune requisì quella che era stata una «casa del fascio» e, come atto simbolico, la diede al Pci) a 320 lire mensili, «rivalutate» a 12 mila nel 1986. Con Alemanno, si passa di colpo a circa 1.200 euro al mese, 14.900 euro l’anno. Solo che i «compagni» non ci stanno e, autonomamente, si autoriducono l’affitto a 102 euro al mese, meno di un decimo. Da lì parte il contenzioso (e anche l’accumulo della morosità) che Matteo Orfini, quando diventa commissario del Pd — dicembre 2014, dopo Mafia Capitale — cerca di sanare. Orfini scrive al Comune, guidato all’epoca da Ignazio Marino, ma nessuno gli risponde. Poi insiste con l’avvento di Tronca, ma niente.
I dem, per dimostrare di essere in buona fede, inviano al Campidoglio anche un bonifico da 25 mila euro: una sorta di «acconto» per far capire di essere intenzionati a saldare — a rate, si capisce — il debito. Ma, ancora, nulla si muove fino allo sfratto di Tronca, il ricorso al Tar del Pd e la sentenza dei giudici amministrativi. La battaglia, però, va avanti. Perché i militanti della sezione — dove sono passati tutti i protagonisti della politica nazionale, di sinistra ma anche di destra: da Achille Occhetto a Massimo D’Alema, da Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni — sono pronti alle barricate: «Noi— dice la segretaria Giulia Urso — non ci muoviamo. Il ricorso è pronto e siamo pronti a resistere allo sgombero. Ci stanno arrivando attestati di solidarietà e anche soldi da tutta Europa». La Urso aggiunge: «Siamo a via dei Giubbonari da 70 anni, con una concessione del ‘46 che durava solo un anno perché l’edificio doveva essere demolito. Negli anni tanti segretari hanno sollecitato, invano, il Comune a regolarizzare la situazione». Ma naturalmente la vicenda diventa argomento da campagna elettorale. Virginia Raggi (M5s) attacca: «Il Pd non è al di sopra della legge, sgomberare sede Giubbonari se necessario e se il Pd non paga entro pochi giorni». Alessandro Onorato (Marchini) aggiunge: «Nonostante la faccia tosta del Pd di fare ricorso al Tar, giustizia è stata fatta su un’iniquità che denunciammo noi della Lista Marchini».
Sezione È la sede storica del partito. Ma senza contratto