Il Consiglio d’Egitto di Sciascia debutta al Quirino
«Il Consiglio d’Egitto» con la regia di Guglielmo Ferro. «Una vicenda del ‘700, ma attuale»
La Sicilia ai tempi di Leonardo Sciascia. Dal 26 aprile va in scena al Teatro Quirino « Il Consiglio d’Egitto», celebre romanzo dello scrittore siciliano adattato al palcoscenico e messo in scena dal regista Guglielmo Ferro. «È una grande parabola italiana - dice - una metafora sul potere: chi va al potere, per mantenerlo, deve inventarsi la menzogna. Una vicenda ambientata nel ‘700, ma tuttora attuale».
Protagonista nel ruolo dell’impostore, l’abate Giuseppe Vella, l’attore catanese Enrico Guarneri: «Un personaggio - dice l’attore - che trasforma la menzogna in storia: una storia diversa però da quella scritta nei libri».
La Sicilia ai tempi di oggi. «È decisamente peggiorata, rispetto a quelli in cui è vissuto Sciascia - osserva Ferro, anch’egli catanese - perché allora aveva colori più nitidi, era piena di contrasti, ma nel contrasto era possibile distinguere il nero dal bianco. Ora è diventato tutto un miscuglio, un brodino dove l’antimafia diventa mafia... prima c’erano i buoni e i cattivi, i mafiosi e le vittime, i sanguinari e i poeti, i Falcone e i Riina. Quelli dell’antimafia sono davvero antimafia o è folclore? Quelli di sinistra sono davvero di sinistra?».
Concorda Guarneri: «Come diceva Tomasi di Lampedusa, bisogna cambiare tutto per non cambiare nulla. Aveva proprio ragione. Nella mia regione è cambiato certo il modo di vivere, ma la mentalità resta la stessa: i mali della Sicilia sono quelli dell’Italia intera». Riprende Ferro: «La nostra terra è come una sorta di laboratorio dove si condensano una serie di caratteristiche che riguardano tutti gli italiani, solo che da noi tutto diventa iperbolico. Io - aggiunge il regista, figlio del grande attore Turi Ferro che interpretò lo stesso testo nella prima edizione - non vivo più in Sicilia e, quando ci torno, trovo che niente è cambiato. Mio padre? Buon per lui che non c’è più da quindici anni». Guarneri: «La nostra caratteristica principale? Quella per esempio di subire, subire sempre, tanto poi pensiamo di cavarcela con una botta d’ingegno, di furbizia. Lasciamo correre, tanto poi le questioni in qualche modo si risolvono con gli opportuni compromessi».
Ma la Sicilia ai tempi di oggi è anche quella che, con sofferenza e difficoltà, accoglie migliaia di migranti. «Bè, su questo punto voglio spezzare una lancia in favore della nostra gente - riflette Ferro - Il popolo siciliano è atavicamente povero, quindi sa accogliere meglio questi disperati in cerca di una vita migliore, in cerca di speranza, perché capisce la loro condizione. La cultura della discriminazione da noi non esiste, siamo mischiati con altre culture dalla preistoria, abbiamo avuto e sopportato le dominazioni più diverse, dai fenici agli arabi, ai normanni... a Garibaldi... Siamo abituati all’accoglienza».
Riflette anche Guarneri: «È vero e, infatti, molti di questi migranti stanno addirittura ripopolando dei piccoli centri, dei paesini ormai praticamente abbandonati o abitati solo da vecchi, ricostruendo una cittadinanza locale, anche perché - aggiunge - i migranti generano figli e allora ecco che riaprono le scuole elementari... Insomma, si stanno ambientando. Ma, d’altro canto, si percepisce anche il senso della loro transitorietà, del passaggio: i migranti perché dovrebbero restare in Sicilia? Che ci rimangono a fare? Non c’è lavoro, non c’è niente che possa invogliarli a rimanere. Il siciliano Sciascia - conclude - non amava i siciliani e non aveva tutti i torti».