Quell’umile «baracca» dove vive la poesia
Valentino Zeichen in ospedale. L’appello per una casa
Ancora non parla, ma gli occhi sembrano riconoscere chi gli sta intorno. Valentino Zeichen , poeta e scrittore, autore delle raccolte «Area di rigore» e «Poesie 1963-2014» e del romanzo appena uscito «La Sumera», è da qualche giorno ricoverato al San Camillo: domenica scorsa è stato colpito da un ictus, si sta lentamente riprendendo.
È ritenuto un poeta dalla vita leggendaria e una delle storie che contribuiscono alla leggenda è la sua scelta di vivere in una baracca abusiva al Flaminio, nascosta in un vicolo dietro piazza del Popolo, addossata agli alberi di villa Strohl-Fern , protetta da un cancello verde e sul muro una grande targa con scritto «Zeichen » . E ieri per Valentino è scattato anche un nuovo allarme: la casa potrebbe essere occupata, i catenacci divelti. Così un appello di Barbara Palombelli su «Dagospia»: «Possiamo chiedere ai Prefetti che governano Roma - scrive la giornalista - un gesto di umanità verso un intellettuale che rischia di non avere una stanza dove tornare dopo l’ospedale?». Ma l’allarme è subito rientrato: ieri pomeriggio la figlia Marta, dopo l’ospedale dove l’assiste tutti i giorni, era lì con alcuni amici, pronta a ben proteggere l’abitazione dove suo padre vive da più di 40 anni e grandemente amata nella sua essenzialità non solo dal poeta anche dai suoi amici, per i pranzi o le cene sotto un pergolato d’uva, dove il poeta era solito offrire soprattutto la pasta al pomodoro. Marta controlla che tutte le cose siano al loro posto, e tutto sembra pronto per il ritorno di Valentino Zeichen, anche il letto dalla grande coperta colorata.
Al San Camillo, al suo capezzale si alternano gli amici di sempre da Mario Seccia a Maria Bosio, da Aldo Ponis a Alberta Guglielmi. Agnese De Donato, libraia e fotografa, che lo conosce dagli anni Sessanta, ricorda che in «baracca» aveva spesso ospitato personaggi famosi come il poeta Dario Bellezza o il pittore Tano Festa, l’architetto Renato Nicolini o il regista Romano Scavolini.
«Una volta - si commuove - nella galleria d’arte di mio marito avevamo fatto una mostra dello scultore Alberto Gasparri: degli enormi “ovoidi” bianchi che dondolavano in legno. Finita la mostra non sapevamo dove metterli e così li ha accolti Valentino: ma durante l’inverno le sculture sono state bruciate nella stufa Becchi, per riscaldare la casa».