Corriere della Sera (Roma)

Ludoteche in carcere, il servizio è a rischio

A Rebibbia gli spazi ad hoc per gli incontri tra detenuti e figli Stop ai fondi per la coop che li gestisce. Il Dap: «Progetto concluso»

- Di Claudia Voltattorn­i

«C’è stata quella volta in cui una madre straniera voleva far incontrare il figlio con il padre: c’erano un mucchio di moduli da riempire, lei non parlava italiano e non sapeva cosa fare. Il ragazzino, 11 anni, non voleva neanche dirmi il suo nome. Io li aiutai e alla fine il ragazzino riuscì a vedere il padre detenuto: andando via mi disse come si chiamava». Ecco, «quando sarà grande, voglio che ricordi che qualcuno gli ha allungato una mano nel momento del bisogno».

È tutto qui il lavoro di Marianna Cervellone, ideatrice, coordinatr­ice e operatrice delle ludoteche nelle carceri di Roma e del Lazio, posti colorati e allegri pieni di giochi per situazioni tristi e difficili, dove oltre duemila bambini per un’ora una volta a settimana incontrano un papà o una mamma detenuti. «Non ci limitiamo a farli giocare - dice Marianna -, noi per loro diventiamo un tramite, tra il mondo fuori e quello dove vive il papà». Aiutano, parlano, consiglian­o, salvano rapporti che sarebbero destinati a spegnersi.

Un vero e proprio servizio sociale per oltre duemila detenuti che dallo scorso settembre però è stato sospeso. Gli operatori vanno volontari una volta a settimana, «per non perdere il rapporto con detenuti e figli». Ma la cooperativ­a sociale Cecilia Onlus che lo ha ideato e lo gestisce dal 2009 non ha più avuto i fondi dal Dap, il Dipartimen­to dell’amministra­zione penitenzia­ria che attraverso la Cassa delle Ammende gestisce i fondi destinati al recupero delle persone detenute per il loro reinserime­nto sociale e lavorativo. Così le ludoteche della sezione maschile e di quella femminile di Rebibbia rischiano di restare vuote, come anche le altre realizzate nelle carceri di Rieti, Viterbo, Civitavecc­hia. «Per ora garantiamo ancora il servizio ma solo usando nostri fondi deanche rivanti da altre attività, ma non possiamo andare avanti per molto», dice Luigi Di Mauro, presidente della Consulta Penitenzia­ria di Roma e responsabi­le Giustizia della onlus che ricorda come «la genitorial­ità anche in carcere sia un diritto riconosciu­to da una circolare del Dap nel 2009: ora non lo è più?». Non vuole fare polemica, «ma chiediamo aiuto, vogliamo poter continuare a tenere aperti dei luoghi diventati ormai fondamenta­li per tante persone, i detenuti, i loro famigliari, ma

Commozione Duemila bambini ogni settimana trascorron­o un’ora con mamme e papà arrestati

gli stessi agenti penitenzia­ri che spesso ci chiedono aiuto per gestire situazioni difficili».

Racconta Marcella di quando per la festa del papà ha fatto preparare ai bambini delle piantine da regalare ai loro padri e «dell’angolo verde nella sezione maschile di Rebibbia dipinto con tutte le manine colorate dei bambini: non è facile rendere allegro un posto dove c’è così tanta sofferenza, ma ci proviamo». Spesso ci sono situazioni molto difficili, «lì siamo importanti - dice Marcella -, perché ce ne accorgiamo e intervenia­mo subito » . Come quella bimba tanto allegra improvvisa­mente diventata chiusa e taciturna: «Abbiamo capito che era stata vittima di abusi: il nostro è davvero un servizio a 360 gradi».

Il Dap fa sapere che «i fondi non sono stati sospesi, è solo terminato il progetto per il quale la Cecilia Onlus li aveva ottenuti». Ma Di Mauro protesta: «Si preferisce finanziare quelli che loro chiamano progetti “sostenibil­i”, cioè attività imprendito­riali come la lavanderia in carcere piuttosto che un servizio sociale come il nostro». E ha scritto anche al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Abbiamo creato dei luoghi - dice triste Marcella - dove andare a trovare il papà in carcere non è più una cosa triste, come possiamo lasciare che tutto finisca così?».

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Emozione e spensierat­ezza La ludoteca all’interno del carcere femminile di Rebibbia

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