Corriere della Sera (Roma)

Chiedono l’assistenza per il figlio autistico ma la lista d’attesa è di almeno sette anni

SERVIZI SOCIALI ALLO SBANDO

- Palma

I genitori di un bambino disabile di 6 anni si presentano allo sportello del Municipio per chiedere il sostegno domiciliar­e. Sentendosi rispondere che c’è da aspettare sette anni. Avranno l’assistenza prevista dalla legge quando il bambino sarà ormai adolescent­e, sempre che tutto vada bene. Perché, spiega l’impiegata addetta, «c’è chi ha fatto domanda nel 2007 e ancora sta aspettando il proprio turno». Dieci anni, finora trascorsi invano, nella speranza di avere ciò che gli spetta.

Marco (lo chiameremo così) ha 6 anni, vive a Roma nord e da quando ne aveva poco più di tre gli è stata diagnostic­ata una forma di autismo grave. I suoi genitori hanno anche una altro bimbo di due anni e finora hanno sempre pagato di tasca propria terapie e assistenza.

Ma qualcuno ha consigliat­o di rivolgersi al loro Municipio, il XIV, per ottenere l’assistenza domiciliar­e a carico del Comune, che dovrebbe essere un diritto per i bambini come Marco fino ai 18 anni, come prevede la legge.

Si erano preparati a lunghe liste di attesa, si sa, i servizi pubblici sono quello che sono. Ma la risposta che hanno ricevuto è andata oltre ogni immaginazi­one: «E’ inutile che vi illuda – ha detto l’operatrice addetta allo sportello Saich, Serv i z io pe r l ’ autonomi a e l’integrazio­ne sociale della persona handicappa­ta – ci vogliono almeno 7 anni».

La quale ha aggiunto, come fosse una cosa assolutame­nte normale: «Potrebbero diventare anche dieci, gli anni di attesa. C’è gente che ha presentato la domanda nel 2007 e sta ancora aspettando. Cosa vuole, per assistere tutti, questi sono i tempi».

Tutto regolare, insomma, anche se proprio regolare non è. E dire che oggi è la Giornata mondiale dell’autismo.

I genitori di Marco, che hanno girato anche un video con la risposta dell’operatrice, hanno voluto denunciare la situazione: «All’inizio pensavamo di non avere capito bene, magari anche a uno scherzo stupido. Sapevamo di iscriverci magari per ottenere il servizio per l’anno prossimo, tanto più che avevo visto sul sito del Municipio che i fondi stanziati erano oltre 100 mila euro. Mai avremmo potuto credere che nostro figlio potrebbe, se va bene, arrivare a vedere rispettato il suo diritto, sancito da una legge dello Stato italiano, a 13 anni o anche più».

E così si sono convinti a non presentare nemmeno la domanda: «Non vogliamo allungare le liste di cui altri ragazzi nelle stesse condizioni potrebbero beneficiar­e. Noi possiamo permetterc­i di pagare l’assistenza, tanti altri no».

Loro spendono qualcosa come 800 euro al mese per avere «un po’ di respiro. Non si tratta di personale specializz­ato, ma di qualcuno che può magari accompagna­re Marco alle terapie o a prendere un gelato se noi non ce la facciamo, che può fargli compagnia se noi siamo impegnati un po’ di più col lavoro, tutto qui. Sono operatori di una cooperativ­a che prendono la metà di quanto paghiamo. Ecco, se potessi dare un consiglio alla sindaca, da persona che i problemi dei disabili li vive tutti i giorni, le direi di dare direttamen­te i soldi alle famiglie, senza passare dalle coop. Loro li userebbero certamente meglio«.

E comunque dal Comune, magari proprio da Virginia Raggi, una risposta se la aspettano. Anche perché il papà di Marco alla sindaca ha scritto una lettera: «Le chiedo come è possibile tutto questo e che cosa lei può e intende fare per non lasciare queste famiglie nell’assoluta condizione di abbandono. Per quanto mi riguarda mi rivolgerò a degli assistenti privati facendo ricorso al bilancio familiare. Bilancio che sarà alleggerit­o dalle tasse comunali che intendo non pagare. Non si offenda se le comunico che pagherò la Tari di quest’anno nel 2027».

E aggiunge: «Ma come fa chi non ha soldi? Come si fa a sentirsi rispondere di aspettare sette o anche dieci anni? E intanto che fanno, lasciano abbandonat­i i loro figli, fratelli o genitori mentre vanno a lavorare per vivere? Vogliamo fare qualcosa in concreto, davvero, per chi soffre, o continuare a parlarne?»

E sperano di non dover aspettare sette anni per avere almeno una risposta.

Denuncia I genitori: «All’inizio avevamo pensato a uno scherzo stupido»

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