Luigi Ontani, autoritratto plurimo del signor Narciso
Una personale dell’artista all’Accademia di San Luca
Sculture, foto-gigantografie (era il solo a farle nei primi anni Settanta), ceramiche o vetri: opera che vai, Ontani che trovi. Perché in fondo in fondo lui ritrae quasi sempre se stesso, ovunque e dappertutto. E lo fa da decenni. Ontani di qua, Ontani di là, Ontani di sopra, Ontani di sotto. Semper Ontani: all’anagrafe Luigi, da Vergato (Bologna), classe 1943, uno degli artisti più noti e riconosciuti nell’italico panorama del contemporaneo.
E perciò alla fine ogni sua mostra personale — anzi, personalissima, ché i superlativi si addicono all’iper-narcisismo estetico di costui che è un artista-artista, fino al midollo — è sempre un gigantesco e sia pur multiforme autoritratto, comprensivo di diario di bordo. Un autoritratto comunque imperdibile anche nell’ipotesi in cui gli esiti della sua arte non piacciano. Perché di Ontani tutto si può dire: che è colorato, colto, straniante, erudito, esuberante, priapico, ridondante, uomo, donna, ermafrodito, occidentale, orientale, ipertrofico, kitsch, citazionista, lirico, policromo, eccessivo... Tutto, tranne che sia banale, e questo già a partire dalle sue apparizioni in prima persona, con le mitologiche
mise e quelle scarpette di pitone che già una vita fa facevano impazzire l’amico Goffredo Parise («L’indumento più strano sono le scarpe — ebbe a scrivere —, di serpente, di coccodrillo, con suola enorme come quella di certi sarti zoppi di paese, alle volte sono stivaletti d’oro, e così i guanti, d’oro. È un Narciso innocente e folle, perennemente sotto i riflettori non della cronaca ma dei passanti. È il parapittore Luigi Ontani»).
E a questo parapittore è ora dedicata una ampia antologica con circa sessanta lavori — dai primi tableaux vivants alle recenti ceramiche — appena inaugurata all’Accademia di San Luca. Non dunque un luogo qualsiasi, bensì una sede — Palazzo Carpegna — con tanto di scala elicoidale (e nicchie) progettata dal genio barocco di Francesco Borromini. E poteva mai esserci cornice migliore per l’esuberanza creativa e il superego di messer Luigi? Altro che tradizionali musei (che lui, se non gli vanno a genio, rifiuta). Non nuovo a scelte stranianti anche per i contenitori delle sue personalissime (per restare alle ultime scelte romane, il Napoleonico e la casa-museo Andersen) anche stavolta infatti Ontani ha connotato, reinventandolo, un super-luogo. E lo ha fatto alla sua maniera, trasformandolo in una sorta di (sua) wunderkammer. Il titolo della mostra, va da sé, non poteva che essere ontaniano anch’esso: SanLuCastoMalinIconicoAttoniTonicoEstaEstE’tico (senza spazi). E dentro via con una profusione coloratissima di maschere, quadri, mobili, sculture, oggetti e foto di vecchie performance, adamitiche e non, opere in cui ogni volta si reincarna questo eterno fauno libero e capriccioso (termine da intendersi in primis in accezione estetico-etimologica), un uomo/artista (tutto inscindibile) capace anche di far impazzire gli organizzatori fino all’ultimo istante prima di una inaugurazione mandando indietro opere e sostituendole con altre. Unico, piaccia o non piaccia. Come le sue scarpe di serpente.