AMBULANTI IL GRANDE INGANNO
Nessuno, nè a destra nè a sinistra, ha mai toccato gli ambulanti: votano pure loro
Le dimensioni reali del giro d’affari sfuggono a qualunque stima attendibile. Anche grazie al fatto che una bella fetta è tutta in nero. Dettaglio più che sufficiente per giustificare, almeno da parte di una giunta e di una maggioranza politica con il più che condivisibile pallino della legalità, una bella raddrizzata al commercio ambulante. È un mondo che si è allargato a dismisura negli ultimi anni, favorendo piccole e grandi rendite di posizione: a partire da quelle, enormi, ad alcune famiglie capaci prima di influenzare e poi addirittura di invadere la politica. Un mondo rispetto al quale le amministrazioni di turno si sono mostrate sempre più accondiscendenti, fino all’inerzia di fronte ad abusi sconcertanti. Senza che peraltro ci sia un tornaconto economico per la città. Il Fatto Quotidiano ci ha raccontato qualche giorno fa che il Comune di Roma incassa un milione e mezzo l’anno per un numero di postazioni di commercio ambulante non inferiore alle 11 mila unità. Il che significa 136 euro in media a carico di ognuna: 50 centesimi per ogni giorno (lavorativo, s’intende). Assolutamente inaccettabile. Ma qui di rivoluzione non si parla. Anzi. Dietro alla parola d’ordine «No alla Bolkestein», la direttiva europea che impone la messa a gara delle concessioni pubbliche, si profila una massiccia e strisciante opera di salvataggio dello stato di cose presenti, con la città ridotta a un suk nelle mani dei monopolisti delle bancarelle.
Aquanto pare, il nuovo regolamento che il Campidoglio si appresta a varare dopo il passaggio nella commissione presieduta dal trentenne ingegnere informatico grillino Andrea Coia altro non è che questo.
Basta dire che il principio cardine per l’assegnazione delle licenze sarebbe proprio quello dell’anzianità: anzianità di iscrizione alla camera di commercio e di presenza sul territorio, che in teoria consentirebbero di accumulare 100 punti su 100 per l’assegnazione del diritto di commercio. Con il risultato di blindare un sistema già chiuso ermeticamente.
La cosa non ha mancato di suscitare veementi reazioni proprio in casa degli adoratori della Rete. Sui blog si sprecano i commenti al vetriolo, a cui i sostenitori del progetto sfornato dalla commissione Coia ribattono sdegnati sottolineando i posti di lavoro (irregolari, per inciso) che si perderebbero con una stretta sugli ambulanti: ma non una parola sui posti (regolari, stavolta) che a causa dell’invasione delle bancarelle perde il normale commercio.
E non soltanto per la concorrenza degli ambulanti, ma anche a causa del degrado del tessuto urbano. Non c’è strada con un marciapiede sufficientemente largo, ormai, che non sia stata trasformata in mercato all’aperto per scarpe cinesi, mutande indiane o sottomarche di cosmetici dai re del «tutto a un euro». Da Prati ai Parioli, dalla Tuscolana al Flaminio, ovunque è così.
Nessuno li ha mai toccati, né a destra, né a sinistra, incuranti del danno che quel tipo di attività, se non regolata seriamente, provoca al decoro di strade, piazze e interi quartieri. La ragione è semplice, ed è sempre la stessa: anche gli ambulanti votano. Più sono e più votano, dunque meglio assai non averli contro.
Perfino comprensibile, dal punto di vista politico. I partiti hanno sempre seguito questo ragionamento. Già, i partiti… Ricordiamo male o chi ha oggi in mano i destini del governo della capitale è stato eletto promettendo di non fare le stesse cose?
Nuovo regolamento Il principio cardine per l’assegnazione delle licenze è l’anzianità alla Camera di commercio Commercio L’invasione di banchetti crea problemi ai negozianti (e perdita di posti di lavoro)