Capitale, la crisi è nazionale
Continua il dibattito sull’opportunità o meno di trasferire i ministeri fuori dal centro storico
Tutte le capitali europee hanno un grande progetto di rigenerazione urbana in corso: la Grand Paris così come Londra e, da decenni, Berlino. Solo Roma, ammalata d’inedia, scivola anno dopo anno nell’annunciato disastro.
La sua condizione non ferisce l’animo sensibile di un architetto milanese, bensì il cuore di qualunque cittadino del mondo, consapevole del ruolo unico che l’Urbe ha avuto nella costruzione della storia dell’umanità. Per questo la provocazione di Sergio Rizzo, sull’espulsione dei ministeri dal centro storico, va presa assai sul serio, perché la crisi di Roma non è romana è nazionale. E’ la capitale e il suo destino è quello dell’Italia: su tutti noi, romani o no, grava una responsabilità che è ora di assumerci. Vista da Milano, la decadenza della città è ancora più evidente. Non perché Milano sia perfetta o così certa del suo avvenire urbanistico, ma perché da anni sta comunque provando a progettarlo e realizzarlo, con mirabile continuità amministrativa tra giunte di destra o sinistra, fatti gli opportuni aggiustamenti. Soprattutto Milano insiste a integrare le innovazioni della mobilità sostenibile con le iniziative immobiliari private, la promozione del verde pubblico con gli esperimenti di co-housing, le opere pubbliche con il coinvolgimento del mondo delle associazioni. Insomma, tra polemiche e discussioni, prova a usare e riusare la città, da Porta Nuova agli ex Scali alla Piazza d’armi, con nuove linee del metrò e il trionfo del car e bike-sharing.
Poiché il piccolo sta nel grande, e non viceversa, a Roma non serve il piccolo cabotaggio bensì un progetto coraggioso in cui, come in tutte le grandi capitali, si avvii la progressiva espulsione delle auto dal centro storico, perché smetta di essere il«garage d’arte» più grande del mondo. E si progetti il riuso degli spazi abbandonati riportandovi il lavoro e le attività umane; si rigenerino le strade e le periferie; si realizzi un sistema di collegamenti ragionevole, perché un abitante dei Castelli, per lavorare in città, non trascorra ore quotidiane della sua vita tra auto, bus e una metropolitana che non passa mai. Roma necessita che si costruiscano centrali di mobilità smart e piattaforme merci e bus, per liberare le strade urbane da flotte inquinanti ed ingombranti.
La disgraziata condizione del ciclo dei rifiuti romani, del resto, è certamente figlia di gestioni inadeguate e di cattiva educazione ambientale, ma è un vero manifesto dell’ effetto «finestre rotte» di Wilson e Kelling ovvero «una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali». Roma ha diritto, per l’inestimabile valore che ha per tutta l’umanità, di un grande progetto urbano che tenga assieme la rigenerazione del costruito e dello spazio pubblico e la demolizione e ricostruzione di quartieri invivibili; ha necessità di regole nuove, che liberino le energie bloccate da destinazioni d’uso novecentesche, avulse dalla realtà. Alla Capitale serve una discussione partecipata dai cittadini sul futuro dello spazio urbano ed un impegno dello Stato e degli Enti locali per un programma ventennale, a prova di cambi di maggioranze politiche, adeguatamente finanziato. Dovrebbe anche diventare un grande laboratorio per ripensare la tutela dei monumenti, per garantirne la sopravvivenza permettendo che siano usati per lo scopo originale: ospitare la vita e il lavoro. Come la Roma senza Papa di Morselli, forse il centro storico romano senza ministeri non sarebbe una cattiva idea. Parliamone.
Futuro «La città ha diritto di avere un grande progetto urbano»