Corriere della Sera (Roma)

Stadio della Roma, quando lo Stato boccia se stesso

Il vincolo su Tor di Valle sconfessat­o da un parere

- Di Andrea Arzilli

La storia dello stadio della Roma a Tor di Valle si sta rivelando ogni giorno che passa un pasticcio clamoroso. Nel quale ognuno ci mette del suo, senza alcun risparmio. La faccenda del vincolo architetto­nico e paesaggist­ico, per esempio. Succede che il 3 marzo scorso tutti i soggetti dello Stato interessat­i in qualche modo all’operazione si riuniscono per mettersi d’accordo sul parere unico da portare alla Conferenza dei servizi. E dicono sì allo stadio: nonostante il soprintend­ente Francesco Prosperett­i avesse fatto ben presente l’esistenza di un vincolo (autrice Margherita Eichberg) apposto da un pezzo dello Stato. E passi che quel vincolo sia scritto in modo tale da non risultare inattaccab­ile da una eventuale ricorso al Tar: lo Stato arriva a smentire se stesso. Di più. Quel parere unico riguarda il vecchio progetto del 2014 che già non esiste più. Per capirci, quello del milione di metri cubi e dei grattaciel­i.

Così va riscritto daccapo sul nuovo progetto. Con la scoperta ulteriore di un nulla osta paesaggist­ico sfornato nel 2014 dalla direttrice dei Beni culturali del Lazio Federica Galloni, addirittur­a opposto rispetto a quello firmato da Eichberg.

Dunque quel meccanismo del parere unico statale, introdotto per velocizzar­e l’iter burocratic­o finisce per complicarl­o allungando i tempi, con buona pace del presidente della Roma, James Pallotta, che ha fissato nel 2020 il termine ultimo per vedere giocare il suo club a Tor di Valle.

Si dirà che di fatto si tratta solo di un piccolo intoppo, peraltro l’ennesimo. E che la cancellazi­one del vincolo ormai data per scontata (consideran­do che nel primo parere unico, ora da rifare, già lo Stato aveva contraddet­to se stesso), cioè l’elemento più tosto da scardinare, rappresent­a un grosso passo in avanti per chi vuole vedere realizzata l’opera. In realtà, però, il groviglio della burocrazia è ancora più intricato di quanto chiunque abbia potuto immaginare.

Per esempio, c’è la questione della sicurezza, che rischia di avere il ruolo di protagonis­ta assoluto nella vicenda. Secondo la nuova delibera che la prossima settimana entrerà in Aula per conquistar­e l’interesse pubblico, le vie di afflusso e deflusso dal quadrante sono quasi due, nel senso che è prevista la bretella via Ostiensevi­a del Mare più il ponte dei Congressi. Ma quest’ultima opera è ancora incagliata nella relativa Conferenza dei servizi.

Già nel 2014, con il ponte di Traiano disegnato sul progetto Marino, l’allora prefetto Giuseppe Pecoraro aveva puntato il dito proprio sulla viabilità alludendo alla gestione delle emergenze e citando il caso Valmontone, l’outlet rimasto chiuso fino all’adeguament­o a standard di sicurezza. Adesso il prefetto è cambiato, c’è Laura Basilone, ma i paletti sono rimasti gli stessi. E i requisiti della delibera sarebbero ad oggi insufficie­nti, troppo poco per una zona chiusa, ritagliata in un’ansa del Tevere. E forse è per questo che ciò che non sta sulla delibera, il ponte di Traiano, lo si ritrova sulle planimetri­e che dal 25 maggio circolano tra i consiglier­i grillini.

Più si va avanti e più la vicenda sembra dunque ingarbugli­ata. Una matassa fatta di burocrazia ingolfata, di attriti istituzion­ali, di ribaltoni politici, di assessori che saltano e di polemiche, l’ultima delle quali ha portato alla sospension­e dal M5S della resiliente «berdiniana» Cristina Grancio. La quale - con particolar­e riferiment­o alla triangolaz­ione tra l’antico proprietar­io dei terreni Gaetano Papalia, il compratore e costruttor­e Luca Parnasi e il finanziato­re-creditore Unicredit - in Commission­e ha posto rilievi proprio sulle contorsion­i di un iter iniziato a dicembre 2014 con Marino. La bolla di pubblico interesse sulla delibera 132 era la prima pietra virtuale della nuova arena gialloross­a.

E per arrivarci c’era voluta la grande spinta di Marino ai suoi uffici comunali e, prima ancora, una trattativa serrata all’interno dell’allora maggioranz­a Pd. Ci fu anche un pranzo in terrazza Caffarelli dopo il quale Pallotta e Marino decisero di rispondere alle richieste dei dem del Campidogli­o irrobusten­do il progetto con ulteriori opere pubbliche per fugare il sospetto della speculazio­ne: lì l’investimen­to toccò quota 330 milioni di euro, cioè 270 tra ponti, svincoli e depuratori più una «fiche» di 50 milioni per la Roma-Lido, la linea ferro più malandata d’Italia. Sembrava l’inizio. Sì, del calvario. Perché mentre andava avanti l’analisi geotecnica di Tor di Valle, il dossier stadio era oggetto di un rimpallo tra Comune e Regione: documenti incompleti, pareri discordant­i e analisi fatte a metà, altri mesi buttati in scartoffie fino all’estate dello scorso anno.

Quando cioè in Campidogli­o arriva Virginia Raggi, sindaca che da consiglier­a M5S si era battuta come poche contro l’operazione stadio. E la presenza in squadra di Paolo Berdini all’Urbanistic­a non lasciava presagire niente di buono per i proponenti dell’opera che, al netto della quiete negli incontri istituzion­ali, oltre al no politico della maggioranz­a M5S incassava quasi subito pure il no degli Uffici capitolini, lo stesso che ha portato lo scorso 5 aprile alla chiusura con esito negativo della Conferenza dei servizi. Il parere non favorevole elaborato i primi di febbraio, del resto, combaciava con la posizione di Berdini secondo cui l’assenso allo stadio era da concedere solo a patto che il progetto rientrasse «nei 63mila metri quadri del piano regolatore, non uno di più». E non è un caso quindi che, a metà febbraio cioè poco prima che saltasse fuori l’accordo politico tra proponenti e Raggi da cui il progetto stadio è rinato dimezzato nel cemento, la prima testa a cadere sia stata proprio quella di Berdini: intercetta­to a sua insaputa da un cronista de La Stampa l’assessore avanzava sospetti nel rapporto tra la sindaca e il suo capo segreteria, Salvatore Romeo. Dimissioni, arrivo del nuovo assessore all’Urbanistic­a Luca Montuori e iter che riprende, stavolta sostenuto dal M5S e osteggiato dal Pd che l’aveva prima sostenuto, in una atmosfera politica capovolta. Ma ormai non c’è da stupirsi.

Tor di Valle Il progetto è dimezzato, ma il parere dello Stato smentisce lo Stato stesso

 ??  ?? Degrado Calcinacci davanti alla tribuna dell’ex ippodromo di Tor di Valle, dove dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma
Degrado Calcinacci davanti alla tribuna dell’ex ippodromo di Tor di Valle, dove dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy