UNA FERITA DA SANARE IN FRETTA
La Regione Lazio ha trovato oltre 1 milione di euro per finanziare «Divo Nerone» al Palatino, opera di nessuna qualità, flop clamoroso. Possibile che non trovi qualche risorsa per sanare, nel cuore di Roma antica, la ferita sanguinante del bel Palazzo Nardini, (1474) di sua proprietà, che da secoli dà nome alla strada, Via del Governo Vecchio? L’edificio, ora sbarrato e lasciato degradare dall’abbandono, lo fece costruire il cardinale Stefano Nardini di Forlì nominato da Sisto IV primo Governatore di Roma. Sede del Governatorato fino al ‘700 quando lo è diventato Palazzo Madama. Poi Pretura e negli anni ‘70 storica Casa delle donne dove il movimento femminista aveva creato un consultorio per l’educazione sessuale e l’interruzione volontaria di gravidanza. Nel 1980 la Giunta di sinistra di Ugo Vetere voleva insediarvi la sede distaccata del vicino Archivio Capitolino e un maestro in restauri, Paolo Marconi, definì un progetto già esecutivo. Che però si insabbiò. Non si sapeva bene di chi fosse Palazzo Nardini. Finalmente si accertò che era approdato al demanio della Regione Lazio e l’assessore alla Cultura Giulia Rodano raccolse nel 2005 le denunce dei residenti e dei comitati sul degrado interno: uccelli e animali morti, pozze con stormi di zanzare, topi, tetti sfondati, ecc.. E investì 6 milioni di euro, anzitutto per rifare i tetti. In una sala del piano nobile, il soprintendente del tempo, Roberto Di Paola, scoprì sotto la calce un interessante fascione di affreschi conviviali di fine ‘400.
Le strutture portanti del Palazzo furono trovate decisamente sane. Rodano promosse un tavolo col Mibac per proseguire nei restauri. Finito nel nulla con quella Giunta. Oggi le grandi vetrate presentano buchi ovunque, le finestre non hanno vetri, le caditoie tagliate fanno ruscellare l’acqua sulla facciata, l’elegante portale bugnato si disfa. Si chiede di restaurarlo: per farci cosa? Intanto per salvarlo dalla rovina. Verificando poi se gli spazi di Palazzo Nardini sono sufficienti a contenere la storica Biblioteca Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte divisa (ancor oggi) fra Palazzo Venezia e Collegio Romano. Si è parlato anche di un museo della fotografia romana con mostre e con emeroteca al pianterreno aperta fino alla 23. La giunta Polverini di centrodestra non ha mosso paglia. La Giunta Zingaretti, per ora altrettanto.
Anni fa è stata inviata una lettera in proposito all’assessore alla Cultura, Lidia Ravera, chiedendo un pronto intervento. L’assessore ha chiarito, laconica: la questione riguarda i Lavori Pubblici. E il precedente di Giulia Rodano allora? Il ministro del tempo Massimo Bray, la segretaria generale del Mibac e la soprintendente ai Beni architettonici, Federica Galloni, essi pure interpellati, hanno taciuto.
Nel 2014 i Comitati per la casa decidono una occupazione simbolica del Palazzo. Invasione festosa e pacifica. Ma per poco la Polizia non interviene con uno sgombero forzoso. La Regione Lazio fa alzare un muro di forati dietro al bel portale, sempre più corroso da smog e piogge acide, e tutto finisce lì. Ricomincia l’abbandono dell’edificio quattrocentesco. Dall’alto di una elegante lapide marmorea, il cardinale Stefano Nardini continua a guardare di sotto con dignitosa desolazione. I turisti passano, si fermano, scuotono la testa, e se ne vanno. Possibile che un politico sensibile ai valori della bellezza come si dichiara Luca Zingaretti non trovi una soluzione dignitosa per salvare dalla rovina questo prezioso patrimonio di tutti?