Orfini: «A Roma le cosche sono radicate» Giro: «Teorema solo mediatico-giudiziario»
All’indomani della sentenza che ha visto cadere l’accusa di associazione mafiosa nell’inchiesta sul «Mondo di mezzo» la politica va allo scontro. Ad acuire le divisioni anche all’interno dello stesso partito è una parola, «mafia», che per alcuni andrebbe archiviata, per altri risuona come un monito a futura memoria. Accade, così, che nelle geometrie variabili del day after, mentre si cerca di riconquistare la fiducia dei cittadini, emergano convergenze tutt’altro che scontate. È il caso del governatore del Lazio che, almeno su questo, si trova d’accordo con il presidente del Pd Matteo Orfini («A Roma la mafia c’è. Ed è forte e radicata»). «Dobbiamo evitare il rischio di creare una grande confusione — insiste Nicola Zingaretti — e trasformare una sentenza su una associazione, o un caso, in un colpo di spugna». Per ribadire che a Roma problemi di infiltrazioni mafiose ci sono eccome, il presidente della Regione cita un fenomeno che i cittadini conoscono bene: «Basta farsi un giro per strada e riconoscere i locali sequestrati». Parole in linea con quelle ripetute in questi giorni dalla sindaca Raggi: «La sentenza ha comunque accertato che c’è stato un pesantissimo e intricatissimo sistema che per anni ha tenuto sotto scacco la politica».
A ribadire il concetto, in termini ancora più espliciti, è monsignor Giuseppe Marciante, vescovo ausiliare nella Capitale: «Ho dei dubbi su questo giudizio e secondo me la mafia l’abbiamo relegata a certi fenomeni, ma non è così, la mafia è legata al potere. In fondo è questo: il potere in modo illegittimo, in modo corrotto. Questo è la mafia». Il senatore forzista Francesco Giro, tra le file dei garantisti, si sfila dalle polemiche «tutte a sinistra sulla presenza o meno della mafia a Roma». E nel prendere le distanze dal «teorema mediatico-giudiziario su cui affondava le proprie radici l’inchiesta», si spende in difesa dei colleghi Giordano Tredicine (i pm avevano chiesto quattro anni, il tribunale li ha ridotti a tre), e Luca Gramazio (condannato a 11 anni): «Chiederò agli organi preposti di Forza Italia la revoca immediata del provvedimento di sospensione, che oggi non ha più ragione di essere dopo il giudizio di primo grado che ha radicalmente ridimensionato le accuse».