Città poco smart, in Italia solo noni
Rapporto EY: Roma ha perso cinque posizioni nella classifica dei servizi digitali alla cittadinanza
Una smart city non si costruisce dalla sera alla mattina. Neppure nei biblici sette giorni. Ci vogliono progetti, una visione di lungo periodo, investimenti pubblici e privati. Però, esperti e ricerche concordano: il ritardo dell’Italia e di Roma in particolare non è più sopportabile.
La Capitale è scivolata dalla posizione quattro al nono posto italiano nello «Smart city index» realizzato dalla società di consulenza EY (la ex Ernst&Young) nel 2016, una graduatoria costruita a partire da oltre 400 indicatori come, per esempio, la presenza di sensori sulla rete stradale o nei parcheggi (qui la città è ottava in Italia) e la videosorveglianza di spazi pubblici.
Tra gli altri indicatori anche l’accessibilità ai servizi wi-fi e l’offerta di auto o bici condivise. E oggi in che condizioni è la Città Eterna? «Molto si è lavorato sulle infrastrutture, il territorio urbano è quasi tutto cablato con la banda ultralarga. Ma restano ancora delle criticità», spiega Andrea D’Acunto che guida l’osservatorio di ricerca per Ey.
La nuova fotografia sull’Italia con la graduatoria aggiornata delle smart city vedrà la luce agli inizi del 2018. Nessuna anticipazione, ma D’Acunto offre alcune indicazioni. Per esempio, sulle piattaforme che danno servizi al cittadino. «A Roma il 90% dei tributi comunali si può pagare online. Per i turisti, le informazioni o l’accesso a musei ed eventi culturali in mobilità attraverso gli smartphone sono un fiore all’occhiello della città. Invece, per tutta l’area dei pagamenti di tributi scolastici o la sanità non ci sono servizi davvero fruibili dagli utenti».
E allora, quali le strade da percorrere in futuro? L’esperto ne individua due: «Bisogna fare un Piano regolatore da smart
city, non si può procedere senza una visione complessiva. E occorre lavorare contemporaneamente sulle infrastrutture e i servizi. Nel primo caso, usare le regole dell’edilizia in un’ottica green, che consente di attrarre investimenti. Nel secondo caso, migliorare l’offerta in ambito sanitario, scolastico e della mobilità».
Uno dei paradossi della Città Eterna è offrire opportunità smart migliori ai turisti che ai propri residenti. Del resto, l’attrattiva mondiale di Roma è tra i pochi punti forti che emerge anche da un’altra ricerca, curata di recente dalla business school spagnola Iese e condotta tra 180 città di 80 Paesi nel mondo. Roma è al gradino numero nove per turisti e passeggeri internazionali, capacità di accoglienza, perfino per le fotografie postate sui social. Peccato però che, nel ranking finale, la Capitale si piazzi alla posizione numero 43, dietro Milano (38) ma davanti a Firenze (49) o Torino (61).
Invece, piuttosto sconsolante appare il confronto con altre grandi città europee, per non parlare di quelle Usa. Ma per restare al Vecchio Continente, Londra, Parigi, Berlino, Amsterdam, Vienna sono ai primi 15 posti. Lo studio di Iese ha messo sotto la lente di osservazione una decina di indicatori a partire da quelli economici come il tempo necessario per avviare un business o il numero di startup create: qui Roma è numero 78 nel mondo.
Ci sono poi aspetti più tech: quanti indirizzi Ip nella città? Quanti hot spot wi-fi e quanti cellulari intelligenti per abitante? La Capitale è la numero 60 di questo ranking. Alla voce mobilità, che comprende le biciclet-
te in sharing ma anche le stazioni della Metro e la qualità dei mezzi pubblici si scivola alla posizione 65.
Nel corposo report dell’ateneo spagnolo non c’è traccia di luce. Cioè, non è preso in considerazione, tra gli indici smart, il sistema di illuminazione pubblica che, con i pali intelligenti, può diventare qualcosa d’altro. Ma che cosa? Per capirlo, occorre aspettare qualche settimana. Infatti, i prossimi mesi per Roma potranno rappresentare un momento di transizione importante, come spiega Marco Frascarolo, docente di illuminotecnica all’università RomaTre e coordinatore (dal lato degli atenei, Sapienza e RomaTre) del tavolo di lavoro voluto da Luca Montuori, assessore all’urbanistica, mentre è in corso un Piano Led, con il cosiddetto relamping, cioè il passaggio dell’illuminazione pubblica dalle lampade al sodio (luce arancione, bassa resa cromatica, consumi non molto bassi) al led. «Oggi grazie alle tecnologie e ai sensori, il palo della luce può diventare il veicolo per altri servizi. A partire dal semplice led regolabile, con un sistema che abbassa il livello di luminosità e fa risparmiare, il palo può trasformarsi in una colonnina per la ricarica delle auto elettriche, offrire occasioni da realtà aumentata in prossimità di monumenti, diventare un hot spot per l’accesso alla rete». In ottobre il tavolo di lavoro presenterà i primi risultati: una sorta di manifesto su quello che si può fare, dal punto di vista tech, e dei soggetti pubblici o privati, da coinvolgere. Una città smart può partire anche da un quartiere smart. E da un palo della luce. Se è intelligente.