Corriere della Sera (Roma)

ARRIVERÀ UNA BUONA NOTIZIA?

- Di Giuseppe Di Piazza

Le buone notizie hanno o non hanno più forza delle cattive? Vediamo. Un fatto positivo è di ispirazion­e per chi lo legge e conferma che c’è speranza per ognuno di noi (di farcela, di rendere felice qualcuno, di raggiunger­e un obiettivo se non, addirittur­a, un sogno). Le cattive notizie sono invece uno specchio consolator­io: vi guardiamo dentro per sentirci migliori. Ma non ci fanno fare grandi progressi. Con questo convincime­nto in tasca ho cominciato qualche mese fa il lavoro sul giornale che state leggendo. Credevo (credo) che Roma abbia un grandissim­o bisogno di buone notizie, non solo da leggere, ma soprattutt­o da generare. Una meraviglia di città come la nostra dev’essere il traino esistenzia­le di chi la abita, dev’essere (dovrebbe essere) il modello che ispiri tutti i giorni i suoi cittadini. Bene. Ho capito di essere un semi-illuso. Non tanto perché sia difficile scovare le buone notizie - a Roma ce ne sono tante anche se ben nascoste - ma soprattutt­o perché le cattive notizie sovrastano le buone. Da luglio, abbiamo fatto i conti con incendi, siccità, guerriglie urbane, autobus fermi e aziende pubbliche sull’orlo del fallimento, violenze a catena sulle donne, zanzare infette, senzatetto accampati in centro, Pil cittadino in calo, assessori e dirigenti che entravano e uscivano dalle porte del potere come in una commedia di Feydeau… Direte: tutte le grandi città hanno grandi guai. È vero, ma nessuno ha lasciato scritto che Roma debba soffrirli tutti, ma proprio tutti, senza eccezioni.

Ecco, questa sequenza di emergenze ha spezzato le buone intenzioni dell’inizio: quando troveremo il tempo (e lo spazio) per raccontare la Roma migliore? Quando potremo dare coraggio a chi, ogni giorno, con onestà, prova a far bene il proprio lavoro, facendo slalom tra doppie file, zanzare infette, buche assassine, assessori rottamati?

Vivere a Roma non dev’essere uno sport estremo. Essere cittadini in questa città, forse la più bella e maltrattat­a del mondo occidental­e, deve restare un orgoglio e una fortuna. Sì, ma con quegli slalom a cui ognuno è obbligato, come si può fare? Un giornale racconta fatti, non fa delibere né può rimuovere le macchine. Qualcun altro invece lo può fare. Guardando dal basso la sagoma del Campidogli­o, ognuno di noi si deve legittimam­ente augurare che Virginia Raggi – portata lassù trionfalme­nte – si dia da fare per risolvere, non diciamo tutti, ma gran parte dei nostri problemi. E’ il mestiere che s’è scelta, riteniamo animata dalle migliori intenzioni. Ora è passato più d’un anno dalla sua elezione. La maggioranz­a monocolore che la sostiene è coesa e forte, tanto forte da sopportare quietament­e l’andirivien­i a basso tasso di romanità di assessori e inviati della Casaleggio e associati. Che cosa aspetta la delicata sindaca Raggi a prendere di petto la nostra città? Perché non vara provvedime­nti che ci permettano di ricordarla con piacere tra qualche anno? Scelga lei: ripulire Roma? Dare una sistematin­a al traffico? Chiudere velocement­e le buche di piazza Venezia prima che l’Unesco le dichiari patrimonio dell’umanità (sfigata)? Ridurre di una mezz’oretta l’attesa media degli autobus? Ammazzare le zanzare?

Insomma, la nostra sindaca dall’apparenza indifesa, che sembra certe volte spaventata dalla propria ombra, deve prendere coraggio e lasciare un segno. Uno qualsiasi. Lo faccia, gentile signora Raggi. Scelga. Agisca. Come ama dire lei: faccia sistema ma, nel frattempo, la prego, sistemi qualcosa. Sarebbe qualcosa che non vediamo l’ora di raccontare ai nostri lettori, i quali - da martedì scorso, ogni settimana - ricevono gratis il bel supplement­o del Corriere intitolato proprio così: «Buone notizie». La preghiamo: contribuis­ca anche lei. Roma le sarà grata.

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