Sognando la Via Lattea del pop
Testaccio: canzoni e letture per il concerto delle Luci della Centrale Elettrica
Vasco Brondi ha deciso di concludere così il tour di Terra: con un concerto di riepilogo dalla declinazione particolare fin dal titolo, Fra la via
Emilia e la via Lattea. La via Emilia, si sa, è l’ambito di crescita del cantautore, che ha cambiato pelle negli ultimi anni fino ad abbracciare sonorità etniche.
La Via Lattea è un sogno, un desiderio, un’aspirazione: «Pagine scritte non per fare musica, ma per fare storia e geografia. Canzoni per misurare la distanza tra le proprie origini e il proprio destino» spiega l’alter ego delle Luci della Centrale Elettrica.
Sul palco una voce narrante con chitarra acustica, un violoncello e una chitarra distorta, in uno scenario underground e striato, la Città dell’altra economia a Testaccio.
Vasco Brondi, accompagnato da Daniela Savoldi e da Andrea «Cabeki» Faccioli, alternerà canzoni e letture che si sono influenzate a vicenda. Storie di fughe e di ritorni per dipingere una sterminata provincia italiana, provincia che non ha mai avuto frontiere, dove tutte le strade portano in qualche America reale o immaginaria. L’intervento sarà trasmesso in diretta radiofonica su Radiotre Rai a partire dalle 21.30.
Un finale originale anche a Ferrara, dove il 29 incontrerà Tre allegri ragazzi morti per un connubio musicale fra Oriente e Occidente, e il 30 Pa- olo Cognetti vincitore dello Strega. A Milano, il primo ottobre, conversazione con Giovanna Zucconi.
Brondi cantastorie impegnato, che sente il peso di ciò che è stato. Ha spiegato in una recente intervista: «Abbiamo la fortuna di avere grandi artisti e dobbiamo essere grati a quel passato. Io sono cresciuto con i dischi di Battiato, di De Gregori, dei Cccp e dei Csi e mi sono formato proprio ascoltando quel modo di unire suono e parole». Per si è ispirato ai viaggi reali e immaginari, presenti e futuri, «da Cuba alle Azzorre alla circolare esterna di Milano». Al disco, si accompagna un suo libro che del diario di bordo ha la varietà e lo spessore.
Perché la scelta del violoncello che va oltre il suo (per autodefinizione) «pop impopolare» ? «Cose che ora faccio con la chitarra acustica e che nel punk erano inconcepibili da accostare, come ad esempio l’utilizzo del violoncello, dal suono troppo delicato, un tempo me le precludevo, anche se credevo di essere libero. Andando avanti con il lavoro e l’età, si raggiunge un margine di libertà che permette di fregarsene di tantissime inibizioni e di rimanere concentrati su quelle importanti».
Prossima tappa del viaggio, se stesso: «La libertà per me è essere come si è: c’è solo quella direzione».