Corriere della Sera (Roma)

Villa Torlonia, il ristorante deve andar via

Il Consiglio di Stato: la gara che aveva vinto bandita da Zètema senza alcun titolo

- Di Fabrizio Peronaci

Contrordin­e, quel ristorante nel cuore di Villa Torlonia, uno dei parchi cittadini più ricchi di storia, deve andar via. Nel senso che lì, alle spalle del «Casino nobile» che fu residenza di Mussolini, dove da un paio d’anni la nuova ditta si è installata con tavolini, ombrelloni, cucine e frigorifer­i (e dove ogni domenica sciamano centinaia di clienti per il caffè e l’aperitivo), in base a una recentissi­ma sentenza non ci può stare. Il motivo? Semplice: la gara d’appalto era illegittim­a. Il soggetto che l’aveva bandita - Zètema - era privo di titolo. Un po’ come se la Roma vendesse Ciro Immobile. O la Lazio Daniele De Rossi. Non si può: l’oggetto del contendere, in questo caso lo splendido casolare noto come «La Limonaia», che ospita il bar-ristorante, all’epoca dei fatti non rientrava tra i beni della partecipat­a del Campidogli­o, ma tra quelli del Comune stesso. Errore da matita rossa, insomma. E ora si comincia daccapo.

Nella capitale degli svarioni e degli abusi, va in scena lo «scippo» di competenze, con una conseguenz­a pratica: la gara va rifatta, al più presto.

A mettere la parola fine alla baruffa tra gli osti (di prim’ordine) di Villa Torlonia è stato il Consiglio di Stato, con una sentenza emessa lo scorso 13 luglio e pubblicata il 27, ma non ancora eseguita. Tutto era cominciato a fine 2014, quando Zètema, all’epoca guidata dall’ad Albino Ruberti, in sella da due decenni, bandì la gara per la gestione del punto-ristoro nella villa sulla Nomentana.

Le ditte che partecipar­ono alla selezione furono cinque, compresa «La Limonaia srl» della famiglia Palombini, che aveva in concession­e il servizio dal 2006. Procedure rapide, ma passaggio di consegne non indolore. Nel maggio 2015 risultò vincitrice la «Food service» e i vecchi cuochi dovettero fare le valigie, senza rinunciare, però, ad aprire immediatam­ente la battaglia legale: un mese dopo, ritenendo l’aggiudicaz­ione illegittim­a, gli sconfitti impugnaron­o il provvedime­nto davanti al Tar del Lazio, che ad ottobre diede loro torto.

Partita conclusa? Macché. Il ricorso in appello presentato da Giuseppe Palombini, cugino del titolare dello storico bar-caffetteri­a dell’Eur, è stato accolto dal Consiglio di Stato, dopo che un lungo carteggio con gli uffici comunali (basato su due ordinanze di rinvio) ha sciolto il nodo decisivo: il suggestivo edificio ottocentes­co rientra o no tra i cespiti attribuiti a Zètema? «La documentaz­ione acquisita agli atti - ha chiarito la sentenza firmata dal presidente Francesco Caringella - dimostra la fondatezza della lagnanza. Infatti la struttura denominata Limonaia, distinta da quella denominata Tecnotown (confinante,

ndr), adibita a ludoteca, non figura tra i beni affidati da Roma Capitale alla Zètema Progetto Cultura». Conclusion­e: «L’appello va accolto». Gara da rifare: «Si ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministra­tiva».

Risultato ribaltato nel secondo tempo, dunque. Ma restano le incognite. Perché fino ad oggi i vigili non si sono presentati? I vertici di Zètema sono stati rinnovati di recente e d‘altronde, negli ultimi contratti di servizio, si è provveduto a inserire «La Limonaia» tra i beni della partecipat­a, sanando in qualche modo il difetto d’origine. Ciò potrebbe dare vita a un escamotage per mantenere lo status quo? La guerra tra chef pare tutt’altro che conclusa. «Considerat­o che siamo stati danneggiat­i da un atto illegittim­o posto in essere da Zètema con l’avallo di Roma capitale - attacca Palombini, difeso dall’avvocato Arturo Cancrini - siamo come è ovvio pronti a partecipar­e alla nuova gara, confidando sia conforme alla normativa, ma al tempo stesso stiamo valutando una richiesta di indennizzo corposo per le perdite subite».

Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di Palombini: Zètema non aveva titolo per il bando

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La Limonaia Il bar-ristorante nel parco
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