Peter Stein, l’invulnerabile
«Faust – Fantasie» lo si vide a Benevento dieci anni fa, in una edizione del Festival diretta da Enzo Moscato. Con esso si celebrava il settantesimo anno di un maestro, Peter Stein. Siamo oggi a ottanta. Stando alla memoria, lo spettacolo è intatto, invulnerabile. Un cavallo di battaglia. Peter Stein lo ha recitato davanti a un pubblico particolare, quello dell’Accademia di San Luca, c’erano poetesse come Biancamaria Frabotta, poeti come Carlo Bay, architetti e studiosi di architettura come Nicola Carrino e Giorgio Ciucci, per non parlare di un artista come il presidente dell’Accademia Gianni Dessì. Il tono magari era un po’ solenne, il nostro performer (almeno all’inizio) aveva un’aria severa oltre la sua abituale misura — quella
che siamo abituati a riconoscergli dalla prima volta che lo vedemmo, era il 1978 a Berlino. Ah, i grandi spettacoli di Stein, As You Like It, Orestea, Tito Andronico, Zio Vanja, Wallenstein, Edipo a Colono,I
demoni… Sono quelli che ho visto. Ma, del regista tedesco, anche il Faust è qualcosa a suo modo di memorabile. Non è un insieme di monologhi, più o meno brevi, schegge, pezzi di bravura. È un modo di ricostruire il testo per frammenti, un piccolo percorso. Vestito di grigio scuro e di nero (camicia alla russa) Stein interpreta in senso stretto i ruoli di Faust, di Mefistofele, di Margherita. Modifica la voce, compie i pochi gesti che deve compiere. Asseconda, o è accompagnato, dal pianoforte di Giovanni Vitaletti (strepitoso) su musiche di Arturo Annechino.