Rutelli racconta Roma e i suoi alberi
Congresso al Cnr, l’ex sindaco: «Voglio ricordare come la Capitale sia anche verde»
Roma città verde, figlia di Rhea Silva, madre di Romolo e Remo e dea delle selve. Roma città di alberi, protagonisti della storia antica e della toponomastica moderna, motore dell’identità di quartiere e motivo di orgoglio, a volte di malinconia. L’alberone e la quercia, il fico e le viti. Francesco Rutelli, sale in cattedra al Consiglio nazionale delle ricerche per il congresso Sisef e riannoda i fili della sua città, ovviamente di colore verde.
Il presidente della fondazione Centro futuro sostenibile, ex sindaco della Capitale, ex ministro dell’Ambiente (per un giorno, nel 1993), una laurea in paesaggistica fresca di inchiostro, parla ad agronomi, ricercatori, architetti della sua passione: «Sono un cittadino romano che non vuole dimenticare che Roma è fatta anche di alberi, e che il loro rapporto con il territorio è fondamentale sul piano simbolico». Poteva parlare di agricoltura sostenibile, di clima, verde urbano, della trasformazione dei nostri sistemi forestali, di parchi, agricoltura, ma preferisce riflettere sul ruolo degli alberi nella vicenda urbana di Roma. In via del Boschetto la piantagione c’era, e si deve al cardinale Gonzaga quando gli fu affidata la chiesa di Sant’Agata dei Goti. Il nome di piazza del Popolo? Non proviene né dalla cittadinanza né dal pioppo, populus, che cresce sul lungotevere, ma dalla vicina chiesa di Santa Maria del Popolo. «L’intreccio fra Roma e i suoi alberi è una trama infinita. I pini di piazza Venezia lato Aracoeli si devono al mio bisnonno, direttore delle Belle Arti, e furono messi a dimora per attenuare il biancore abbagliante dell’Altare della Patria» racconta Rutelli, che mette l’accento sui numeri: «Roma ha un territorio di 130mila ettari di verde, curati da cento giardinieri». A Parigi solo per il Giardino delle Tuileries ce ne sono 70. I conti sono presto fatti. Non resta che chiudere con un sonetto di Trilussa, recitato dallo stesso Rutelli. Parla l’alloro: «Poveretti noi! Dove so’ annati queli tempi belli quanno servivo a incoronà l’eroi? Ormai lavoro pe’ li fegatelli».