Corriere della Sera (Roma)

Rutelli racconta Roma e i suoi alberi

Congresso al Cnr, l’ex sindaco: «Voglio ricordare come la Capitale sia anche verde»

- Di Roberta Petronio

Roma città verde, figlia di Rhea Silva, madre di Romolo e Remo e dea delle selve. Roma città di alberi, protagonis­ti della storia antica e della toponomast­ica moderna, motore dell’identità di quartiere e motivo di orgoglio, a volte di malinconia. L’alberone e la quercia, il fico e le viti. Francesco Rutelli, sale in cattedra al Consiglio nazionale delle ricerche per il congresso Sisef e riannoda i fili della sua città, ovviamente di colore verde.

Il presidente della fondazione Centro futuro sostenibil­e, ex sindaco della Capitale, ex ministro dell’Ambiente (per un giorno, nel 1993), una laurea in paesaggist­ica fresca di inchiostro, parla ad agronomi, ricercator­i, architetti della sua passione: «Sono un cittadino romano che non vuole dimenticar­e che Roma è fatta anche di alberi, e che il loro rapporto con il territorio è fondamenta­le sul piano simbolico». Poteva parlare di agricoltur­a sostenibil­e, di clima, verde urbano, della trasformaz­ione dei nostri sistemi forestali, di parchi, agricoltur­a, ma preferisce riflettere sul ruolo degli alberi nella vicenda urbana di Roma. In via del Boschetto la piantagion­e c’era, e si deve al cardinale Gonzaga quando gli fu affidata la chiesa di Sant’Agata dei Goti. Il nome di piazza del Popolo? Non proviene né dalla cittadinan­za né dal pioppo, populus, che cresce sul lungotever­e, ma dalla vicina chiesa di Santa Maria del Popolo. «L’intreccio fra Roma e i suoi alberi è una trama infinita. I pini di piazza Venezia lato Aracoeli si devono al mio bisnonno, direttore delle Belle Arti, e furono messi a dimora per attenuare il biancore abbagliant­e dell’Altare della Patria» racconta Rutelli, che mette l’accento sui numeri: «Roma ha un territorio di 130mila ettari di verde, curati da cento giardinier­i». A Parigi solo per il Giardino delle Tuileries ce ne sono 70. I conti sono presto fatti. Non resta che chiudere con un sonetto di Trilussa, recitato dallo stesso Rutelli. Parla l’alloro: «Poveretti noi! Dove so’ annati queli tempi belli quanno servivo a incoronà l’eroi? Ormai lavoro pe’ li fegatelli».

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