Le memorie del barbiere dei politici
Via della Vite, Migliacci compie 80 anni: da Scalfaro a Scognamiglio, quanti aneddoti
È sua la sforbiciata al ciuffo dell’ex presidente del Senato, Carlo Scognamiglio. Di quel giorno a Palazzo Madama Piero Migliacci, che ieri ha festeggiato i suoi 80 anni (60 di attività) ricorda: «Ero senza giacca, l’avevo dimenticata a casa. Me ne feci prestare una, ma mi andava stretta. Quando l’usciere vide quelle maniche risicate provò a fermarmi, ma m’infilai di corsa in ascensore». Nel suo negozio in via della Vite, l’antica barberia Peppino, sono pas- sati nobili, politici, diplomatici, personaggi del jet-set... E la conversazione è di casa, con Piero a fare da arbitro: «Sono un gestore della parola». Loquace o laconico a seconda dell’interlocutore: «L’ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro era molto riservato, silenzioso... Ho capito che con lui era meglio tacere». Adesso che può ritenersi soddisfatto, dopo una vita spesa a rincorrere progetti sempre più ambiziosi, si commuove pensando a come tutto è cominciato.
«Mio padre mi disse: “Scegli, sarto o barbiere”. In paese, a Corigliano Calabro (Cosenza) vedevo che i barbieri erano sempre lì a chiacchierare, quasi non sembrava un lavoro». E invece? «Nel ‘53 ero a bottega a Schiavonea, un borgo di pescatori. Il titolare si ammalò e dovetti sostituirlo. Non sapevo tagliare i capelli, avevo 15 anni, ma ho imparato presto. Ogni lunedì gli portavo l’incasso e mi dava 200 lire». Tempo due anni e si mette in proprio, per poi trasferirsi a Milano con l’allora fidanzata e futura moglie: «L’unica donna che mi abbia detto di no».
Studia da parrucchiere, ma per problemi familiari deve rimboccarsi le maniche. Con i meneghini «scicchettosi» si sente a disagio: «Dottori, ingegneri... Io avevo la quinta elementare». Se non fosse che non sono molti gli artigiani con la sua esperienza: «All’Espam (la scuola di estetica e acconciatura) mi volevano come maestro, ma il mio sogno era Roma». Nel ‘63, lo chiama il direttore dell’albergo diurno della stazione Termini: «Partimmo con un figlio di 10 mesi e la Lambretta». Ma, una volta nella Capitale, Piero non si accontenta: «Volevo lavorare in cento». Il collegio dei barbieri in via delle Quattro Fontane lo indirizza da un siciliano in via Mario de’ Fiori, Peppino Ricciardo Calderaro: «Mi avvertirono: “Guadagnerai bene, ma lui ha un caratterino...”. Quando entrai nel suo negozio, una bomboniera, vidi Giorgio Albertazzi e pensai: “Questo è il posto che fa per me”. Per 30 anni ci siamo guardati a vista, ma è stato bellissimo». Da qui, la scelta intitolargli la barberia in via della Vite che ospita anche un club del rasoio: «Ne abbiamo 350, il primo è del re di Spagna Juan Carlos».
Tra fotografie di clienti illustri e due libri in uscita (il ricavato delle vendite sarà devoluto a un asilo di Amatrice), arriva il momento di spegnere le candeline. Ottant’anni e nessuna intenzione di smettere: «Ho ceduto la prima postazione a mio figlio Alessandro, il futuro capostipite di questa stirpe di barbieri». E lei? «Io sto in seconda,
per ricordargli che sono sempre pronto a riprendermi il mio posto». Di rimpianti, Piero non ne ha: per quanto gli costi fatica, ora sente di poter mollare la presa per godersi il successo.
«Ho sempre avuto il cruccio di non aver tagliato i capelli a un
cantante di Sanremo. Una volta ero dal panettiere, vidi Domenico Modugno alla televisione e ci restai male... Cinquant’anni dopo è venuto da me Johnny Dorelli, per poco non mi sono messo a piangere».
Senato «Quella volta che entrai con la giacca dalle maniche risicate»