Mesi di violenze poi lei si ribella: torturatore preso
Nel 2017: chiesti nella Capitale 220 arresti per stalking
Per due mesi ha picchiato selvaggiamente una studentessa di 23 anni che poco prima aveva cominciato a frequentare. Finché lei, vittima dell’ennesimo pestaggio con calci, pugni e un sanguinoso scalpo l’ha denunciato e fatto arrestare. Lo stalker, accusato anche di maltrattamenti aggravati, è stato arrestato ad Albano Laziale dagli agenti del commissariato Viminale, gli stessi che avevano soccorso la ragazza nel suo appartamento di via Gaeta. I dati del pool di magistrati che si occupano di questo tipo reati segnalano che nel 2017 ci sono già state 220 ordinanze d’arresto a carico di partner o ex partner violenti con le donne che dicono di amare. E i casi sono in aumento dell’11%.
Due mesi. Lo spazio di una relazione appena cominciata. Un lampo in una vita in rampa di lancio che rischia però di esserne segnata per sempre. La fase di passaggio, che doveva significare indipendenza ed emancipazione, precipitata nelle paure peggiori di una ragazza.
«Aiutatemi, il mio ragazzo mi ha picchiato. Ho paura che mi uccida». Vanessa, la chiameremo così, non esagerava quando ha chiamato la polizia dopo l’ennesimo pestaggio subito. Gli agenti del commissariato Viminale l’hanno trovata nell’androne del palazzo di via Gaeta dove vive. Sotto choc, piena di lividi e con una grossa macchia di sangue sul collo. Lui, quel ragazzo da poco conosciuto, le aveva anche strappato una ciocca di capelli, cuoio capelluto incluso. L’ultimo sfregio in un rapporto fatto di violenza cieca.
Vanessa ha 23 anni. Studia all’università e si mantiene con lavori che servono a darle la tranquillità economica per vivere da sola. Fa la vita di tutte. Esce con le amiche, frequenta le vie del centro che la sera, fino a notte, si riempiono di coetanei. Conosce persone nuove, vive con serenità una simpatia del momento.
I.M.V. è più grande di lei. Di anni ne ha 35. Si piacciono, decidono di stare assieme. Lei lo invita a casa sua, nella strada che collega l’Esquilino a Castro Pretorio, passando davanti alla stazione Termini. La storia doveva continuare così, con la naturalezza che l’aveva avviata, se lui non avesse cambiato faccia già dopo pochi giorni che si conoscevano. Uno screzio più che una lite, il primo nella loro relazione ancora senza vesti ufficiali. I.M.V. diventa una furia, la colpisce, lei urta contro un tavolo e si fa male ad una gamba. È l’inizio della caduta libera verso l’abisso di liti futili e frequenti che in due mesi vedranno Vanessa soccombere una, due, tre, cinque volte sotto i suoi pugni, i calci, le urla, le minacce.
Il 35enne fa il cameriere. È di Castelgandolfo, ma quando non sta da lei a Roma torna a casa della madre ad Albano Laziale. Da qui manda messaggi minacciosi a Vanessa. Espliciti. «Ti ammazzo», «Puttana», «Non ti faccio più vivere a Roma». È troppo assolutorio anche definirlo un comportamento possessivo e geloso. Dopo uno di questi pestaggi, ché anche liti è riduttivo, lui pensa di riconquistarla tatuandosi sul petto «Vanessa». E le mostra orgoglioso la scritta, come se bastasse.
Il 23 ottobre torna da lei. Finisce come sempre, ormai. Anzi peggio. Dopo aver soccorso la ragazza, ricoverata al Policlinico con ferite lacerocontuse che richiedono giorni per guarire, gli agenti diretti da Giovanna Petrocca ispezionano l’appartamento dove si è consumata la violenza. Trovano i mobili sotto sopra, i suppellettili rotti, le tracce di sangue, le ciocche di capelli.
I.M.V. viene denunciato ma la procura di Velletri lo lascia a piede libero. Non può finire così e il commissariato Viminale comincia a raccogliere prove ulteriori che confluiscono in una informativa portata all’attenzione del procuratore aggiunto di Roma, Maria Monteleone, a capo del pool specializzato in reati di questo tipo. Agli atti ci sono già anche le testimonianze delle amiche e dei vicini a confermare i lividi e le urla.
L’aguzzino, che la sera della denuncia si era già allontanato dalla scena del crimine, viene raggiunto da un’ordinanza d’arresto eseguita ieri. È accusato di stalking e maltrattamenti in famiglia, aggravati dai futili motivi e dall’avere approfittato di una persona messa nelle condizioni di non po-
Disperazione La telefonata alla polizia: «Aiutatemi, mi ha menato. Ho paura che mi uccida» Il tatuaggio Per riconquistarla, il fidanzato si è fatto imprimere sul petto il nome della giovane
tersi difendere. E qui entrano in gioco oltre alla differenza di stazza e di età, anche le personalità dei due. Quella di lei, rimasta forse succube e incredula di fronte alle violenze — senza che questo possa essere una colpa. E quella dell’uomo, disturbata forse anche per l’abuso di alcol, che lo fa passare da stati di apparente tranquillità a lunghi minuti di irrefrenabile ira. I.M.V. ha precedenti penali ignorati dalla vittima al momento di conoscerlo e un passato, altrettanto ignoto a Vanessa, fatto di botte anche alla sua ex e alla propria famiglia. Il fascicolo di accuse si è arricchito in questo senso con la collaborazione del commissariato di Albano Laziale.
Sanguinante, dolorante, ferita nel corpo e nello spirito la 23enne è stata capace di fornire da subito una descrizione dettagliata di quel conoscente diventato persecutore. Ne ha raccontato abitudini e spostamenti, ha trovato la forza di ricordare come era vestito quella sera mentre la riempiva di botte, ha fornito le coordinate per intercettarlo una prima volta mentre in treno tornava dalla madre. E quando lui pensava forse di essersela cavata con una denuncia, ha fatto sì che potesse essere arrestato. Un gesto di coraggio che non solo in metafora le ha ridato la vita.