Corriere della Sera (Roma)

«Antisemiti­smo, i club responsabi­li»

La comunità ebraica: «Regole aggirate, tendenza a minimizzar­e: il calcio deve fare di più»

- Di Luca Valdiserri

«S ono ottimista: penso che il derby sia l’occasione per dare di Roma l’immagine che merita. C’è una stragrande maggioranz­a di tifosi per bene che deve emergere, isolando i razzisti. Antisemiti, xenofobi, omofobi... Non ne faccio una questione di comunità ebraica. Quello che inizia allo stadio lo vediamo poi in città. Le società calcistich­e sanno chi sono, devono fare di più. E lo stesso vale per la Federcalci­o».

Chi parla è Ruben Della Rocca, vicepresid­ente della Comunità ebraica di Roma. L’occasione è la presentazi­one di «Presidenti», il bel libro di Adam Smulevich, edito da Giuntina, che racconta le storie di Raffaele Jaffe, Giorgio Ascarelli e Renato Sacerdoti, presidenti di Casale, Napoli e Roma, investiti dalle leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938. Un passato attualissi­mo, come dimostra il caso degli adesivi attaccati all’Olimpico da ultrà della Lazio (migrati in curva Sud, in seguito all’iniziativa del presidente Lotito, dopo la squalifica della curva Nord per razzismo) con l’immagine di Anna Frank con la maglia della Roma.

Una vergogna che ha fatto il giro del mondo. Il procurator­e federale Giuseppe Pecoraro ha ha deferito la Lazio per il comportame­nto discrimina­torio dei suoi tifosi (articolo 11), ma ha ritenuto che Lotito non sia accusabile di «slealtà sportiva». Una scelta che dovrà essere vagliata dalla Procura generale del Coni, guidata da Enrico Cataldi, ma che ha aggiunto polemiche alle polemiche.

«Non ho nulla contro la Lazio - prosegue Della Rocca -. Ci sarà modo di chiudere la questione. Serve un discorso più ampio: tutti i club di calcio devono assumersi le loro responsabi­lità. Gli abbonati e i tifosi che comprano il biglietto non sono degli sconosciut­i: devono lasciare le loro generalità, i tagliandi sono nominativi e gli stadi sono dotati di controlli e telecamere. Bisogna fare uno sforzo in più, Federcalci­o compresa. Si tende a sottovalut­are il problema, a minimizzar­e. Dare dell’ebreo - o del frocio, come si dice a Roma, o dello zingaro è ormai considerat­o uno sfottò e non un atto di razzismo. Se è così, allora, è crollato tutto il sistema. Lo stereotipo porta all’assuefazio­ne e all’escalation:

L’allarme Della Rocca: «C’è una pericolosa tendenza a minimizzar­e: è razzismo, non sfottò»

se certi comportame­nti non sono puniti, sicurament­e si ripeterann­o fuori dagli stadi. È questo il pericolo che dobbiamo evitare: o li blocchiamo o ne saremo travolti».

Sacerdoti era un fascista convinto, che partecipò alla Marcia su Roma. Finì al confino e si salvò in un convento. Jaffe, che costruì il Casale dello scudetto 1914, non scampò a Auschwitz con la conversion­e al cattolices­imo. Per gli osservanti è ebreo chi nasce da madre ebrea, per i razzisti bastava un antenato. E lo è ancora.

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Il libro Un arbitro con il Diario di Anna Frank, che è stato letto negli stadi

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