Leica, 100 anni di fotografia
Vittoriano Scatti d’autore dal 1925 a oggi firmati Robert Capa, Cartier-Bresson, Salgado, Freed, Elliott Erwitt
L’unicità dell’istante, l’opportunità di scattare in movimento, la rapida messa a fuoco, il progressivo superamento delle lunghe pose e del pittoricismo di eredità ottocentesca. In sintesi, la possibilità di rendere (anche) le emozioni. Ma soprattutto i fatti, la vita vera... È stata definita, non a torto, «la grande rivoluzione della fotografia». Da allora infatti la visione non fu più la stessa: un capovolgimento totale reso possibile, dagli anni Venti del Novecento, grazie alla nascita delle fotocamere Leica, che seguiva di poco la messa a punto della prima macchina per il formato da 35 mm da parte di Oskar Barnack, nell’anno 1914.
E ora a raccontare questa rivoluzione è la tappa italiana dell’attesa mostra I Grandi Maestri. 100 Anni di fotografia Leica, inaugurata ieri al Vittoriano. Un’antologica prodotta da Arthemisia e Contrasto e a cura di Hans-Michael Koetzle, tra i più importanti critici della fotografia. Oltre 350 le stampe d’epoca originali (più una serie di reprint recenti) firmate da celeberrimi fotografi, cui si aggiungono documenti storici provenienti dall’archivio Leica. Tra i giganti presenti, Robert Capa e Henri Cartier-Bresson, Sebastião Salgado ed Elliott Erwitt, Marc Riboud e Leonard Freed, René Burri e l’italiano Gianni Berengo Gardin, classe 1930, presente ieri all’apertura della mostra e al quale per l’occasione è stato conferito il Leica Hall of Fame Award.
Fin dai primi modelli — via via sempre più leggeri, flessibili, rapidi nell’azione fotografica e portabili ovunque — appare chiara l’enorme portata creativa offerta ai «nuovi» fotografi: la possibilità di osservare il mondo ovunque si andasse e in qualsiasi situazione, da quelle più intime alle più ufficiali. Cambia o cambierà (quasi) tutto, da quel 1925: con il trionfo del reportage e del fotogiornalismo (naturalezza e vicinanza all’azione), con la possibilità di scattare ovunque, da un treno in corsa, da un aereo o da un grattacielo. Anche la fotografia di moda — per antonomasia quella più posata — scoprirà il passaggio dallo studio alla strada, ovvero dall’abito come protagonista assoluto all’emozione di indossarlo. Tutto questo si osserva o si impara nelle sedici sezioni in cui è suddivisa la mostra, che segue un ordine cronologico e tematico giungendo fino alle più recenti visioni a colori (ottimi gli apparati informativi e l’allestimento, peccato solo per le minuscole didascalie, collocate davvero troppo in basso). Ogni foto, una storia. O addirittura la
Storia, come nelle immagini della Guerra civile spagnola di Cartier-Bresson, David Seymour o Capa, il cui miliziano colpito a morte, colto nell’istante in cui è trafitto da una pallottola nemica, diverrà una delle foto-simbolo del XX secolo. Altra vera e propria icona, fra le tante in mostra, il bacio di Times Square a New York fra un marinaio rimasto sempre anonimo e una crocerossina vestita di bianco, nell’euforia generale di quel lontano 14 agosto 1945 in cui venne proclamata la vittoria della Seconda guerra mondiale. Alfred Eisenstaedt, detto Eisei — autore simbolo della rivista «Life», origini prussiane — era lì, pronto a scattare la foto della vita: «Quando sarò nell’aldilà — ebbe a dire — la gente non ricorderà il mio nome, ma riconoscerà quell’immagine». Successo pop-planetario anche per i volti di James Dean, by Dennis Stock, o di Che Guevara immortalato da Alberto Korda a L’Avana nel 1960.
Icone e riconoscimenti I volti di James Dean e Guevara, l’immagine simbolo del V-J Day a Times Square e un premio per l’italiano Berengo Gardin