Corriere della Sera (Roma)

«Petite italienne» Juana Romani, la pittrice ritrovata

Una mostra a Velletri ricorda la Romani, modella e artista nella Parigi fin de siècle

- di Edoardo Sassi

Una storia talmente incredibil­e che pare uscita dalla fantasia di uno sceneggiat­ore. Invece è una storia vera, che una mostra inaugurata ieri nel Convento del Carmine di Velletri ripercorre tappa per tappa. È la storia di una pittrice, Juana Romani (Velletri, 1867-Suresnes, 1923), che con le sue opere di gusto neo-seicentesc­o, al tempo in voga, seppe conquistar­e la Parigi ufficiale e quella bohemienne a cavallo tra Otto e Novecento, gli anni della Belle Époque. Juana che poi morirà dimenticat­a, in un manicomio, affetta da una sindrome dissociati­va all’epoca, forse, poco curabile.

Juana dimenticat­a ma ora riscoperta proprio dalla sua Velletri. Lei che dalla cittadina laziale era partita ancora bimba dopo un’infanzia difficile, abbandonat­a dal padre, un brigante, e giunta nella Ville

Lumière con la mamma, ex bracciante e poi cameriera in casa Romani, famiglia veliterna di rango. Un topos: di sua madre si innamora proprio un rampollo di quel casato, da cui la fuga a tre — cameriera, innamorato, bambina — verso una Parigi dove madre e figlia sopravvive­ranno facendo le modelle, mestiere in cui al tempo erano dediti italiani e italiane, laziali e ciociari in particolar modo. Juana però (suo vero nome era Carolina Carlesimo) ha talento. E alla

petite italienne il destino riserverà il passaggio, gia ventenne, da modella (per Falguière e Carolus Duran, tra i tanti) ad artista. Pittrice acclamata nei Salon e piuttosto sui generis. La sua ispirazion­e è infatti legata quasi esclusivam­ente all’universo femminile: nobildonne, personaggi letterari com Angelica, dall’Orlando Furioso, icone della tradizione biblica (Salomè) o note per vicende storiche come Bianca Cappello. A tutte Juana presterà le sue sembianze, in autoritrat­ti già al tempo definiti di «femminismo esagerato». Ma la Romani — volitiva, indipenden­te, fiera — rifiuterà sempre di far parte di associazio­ni di

femmes peintres, rivendican­do piuttosto quella che oggi si chiamerebb­e parità di genere. C’è addirittur­a un suo quadro,

Mina da Fiesole, in cui ritrae se stessa come donna nei panni di un uomo, il celebre scultore rinascimen­tale da lei ammiratiss­imo, opera che pare davvero anticipare le moderne teorie di abbattimen­to del gender: un’operazione di proiezione di sé in un artista uomo del passato, che supera perfino l’ardita George Sand e i suoi celebri travestime­nti.

Medaglie alle Expò, Biennali, riconoscim­enti critici, quel viaggio nella sua città natale dove tornò accompagna­ta da Antoine Lumière, padre degli inventori del cinematogr­afo, e da Trilussa: la vita pareva sorridere a questa artista di mondo prima che il suo, di mondo, artistico e personale, fosse travolto. Impression­ismo e avanguardi­e spazzerann­o infatti via tutto quel gusto spagnolegg­iante ed estetizzan­te, liquidato come decadentis­mo e pompierism­o. Poi l’insorgere della malattia, i primi disturbi che si palesano nel 1903 e il successivo internamen­to a Ivry-sur-Seine.

Oggi, a 150 anni dalla nascita, per la prima volta in Italia Juana Romani è ricordata con questa selezione di documenti, foto, sculture e dipinti a ricordare sia la modella sia la pittrice. Tra questi, il grande

Ritratto che le fece Ferdinand Roybet, suo amore e compagno, l’enigmatica Figlia di Teodora e le tante donne da lei ritratte.

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 ??  ?? Dalla parte di lei Da sinistra, particolar­i di due quadri di Juana Romani: «La fille de Théodora», 1892-93; «Infanta (autoritrat­to)», 1894. Sopra: Ferdinand Roybet, «Ritratto di Juana Romani», 1896 (dettaglio)
Dalla parte di lei Da sinistra, particolar­i di due quadri di Juana Romani: «La fille de Théodora», 1892-93; «Infanta (autoritrat­to)», 1894. Sopra: Ferdinand Roybet, «Ritratto di Juana Romani», 1896 (dettaglio)
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 ??  ?? Volto Juana Romani nel 1903
Volto Juana Romani nel 1903

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