Ll nome della rosa, arriva in teatro il romanzo di Eco
Al Teatro Argentina debutta «Il nome della rosa» di Umberto Eco, nell’adattamento di Stefano Massini. Regia di Leo Muscato
La scena si apre sul finire del XIV secolo. Un vecchio frate benedettino, Adso da Melk, è intento a scrivere delle memorie in cui narra alcuni terribili avvenimenti di cui è stato testimone in gioventù: «Il nome della rosa» di Umberto Eco, best seller tradotto in 47 lingue, vincitore del Premio Strega nel 1981, poi celebratissimo film di JeanJacques Annaud interpretato da Sean Connery nel 1986, approda al palcoscenico con l’adattamento teatrale di Stefano Massini, per la regia di Leo Muscato, al Teatro Argentina dal 23 gennaio. Uno spettacolo monstre: 13 attori che interpretano 40 personaggi e poi continui cambi di costumi, di scene... Nel ruolo di Guglielmo da Baskerville, Luca Lazzareschi: «Uno spettacolo complesso - esordisce l’attore - e il primo istintivo paragone da parte degli spettatori è con l’immaginario legato al celebre film, ma noi facciamo un’altra cosa. L’operazione è strettamente fedele al romanzo, anche se è stato necessario sforbiciare un po’ di pagine per evidenti motivi di messinscena».
Un omaggio all’autore scomparso due anni fa. Racconta Massini: «Riavvolgiamo il nastro. È il 2012 quando nelle Fiandre la mia strada si incrocia con quella di Eco. Ci troviamo in un festival sulle rovine di un’abbazia e forse su quella scia nasce l’ipotesi: una versione teatrale del “Nome della rosa”. Quanto al lavoro sul testo non ho avuto vita facile. Non erano ammesse invenzioni, ma neppure interventi incisivi né sui personaggi né sugli snodi né sulla struttura portante della materia narrata. Ed ecco andare in scena, a distanza di un bel po’ di tempo, quello che allora mi fu chiesto, un monumento all’opera, ora è ahimè divenuto un omaggio postumo all’autore». Sottolinea Muscato: «La struttura stessa del romanzo è di forte matrice teatrale: una storia che nasconde infiniti livelli di lettura, un incrocio di segni dove ognuno ne nasconde un altro».
La trama è nota. Il benedettino Adso ormai vecchio racconta la vicende di cui fu testimone nel 1327 in un grande monastero del nord Italia dove arrivò come segretario del dotto francescano Guglielmo. Dopo il loro arrivo, l’abbazia viene sconvolta da una serie di morti misteriose. Seguono le indagini, i colloqui, gli interrogatori, finché si comprende che i delitti sono legati alla biblioteca, la più grande della cristianità. Alla fine si scopre che gli omicidi sono opera dell’ex bibliotecario cieco, Jorge da Burgos, per impedire la lettura di un testo secondo lui molto pericoloso: il secondo libro della «Poetica» di Aristotele, che riguarda la commedia. E tutto finisce in uno sconvolgente incendio. «Il mio personaggio - spiega Lazzareschi - è un uomo sfaccettato, non è solo un monaco che affronta un’indagine, ha anche un lato ombra: in passato è stato un inquisitore. Una figura di grande intelligenza, un filosofo e il suo processo di indagini è pieno di dubbi, di incertezze. Scoprirà il colpevole e pure il movente dei delitti, ma la sua è principalmente la ricerca della verità che, spinta però dalla hybris, lo porterà in fondo non proprio a una vittoria cristallina, piuttosto a un fallimento». Tra gli altri protagonisti, Eugenio Allegri, Renato Carpentieri, Luigi Diberti e Daniele Marmi. Una coproduzione del Teatro Stabile di Torino, gli Stabili di Genova e del Veneto. «Se è vero - conclude Muscato - che al centro dell’opera di Eco vi è la feroce lotta fra chi si crede in possesso della verità e chi al contrario concepisce la verità come la libera conquista dell’intelletto umano, è altrettanto vero che non è la fede a essere messa in discussione, ma due modi di viverla differenti».