Corriere della Sera (Roma)

Il dramma di un papà: rabbia e senso di colpa «Mi diceva tutto, non ho creduto a mio figlio»

- Mariolina Iossa

«Tanta rabbia ma anche un senso di colpa profondo, ecco quello che provo oggi», racconta il papà di uno dei 16 bambini che per mesi, in un micronido abusivo del Pigneto, sono stati maltrattat­i e abusati dai fratelli Eligio e Silvia Scalas.

Gli Scalas sono stati condannati, l’incubo è finito.

«Sono stati condannati, sì, provo sollievo, e gratitudin­e per la mamma che per prima ha fatto la denuncia ma, nello stesso tempo, profondo dolore, e anche collera verso quella stessa mamma, che non ci ha avvertito, che probabilme­nte ha temuto di non essere creduta e ha fatto da sola, portando via la figlia dal nido. I nostri invece sono rimasti per alcuni mesi ancora in quell’appartamen­to dell’orrore, fino a quando la polizia ci ha chiamati e ci ha raccontato tutto, facendoci vedere gli audio e sentire i video».

Non vi eravate resi conto che qualcosa non andava, dal comportame­nto del bambino?

«I bimbi sono molto piccoli, il mio faceva qualche capriccio, soprattutt­o dopo il weekend, non voleva tornare al nido ma è normale, abbiamo pensato, molti bambini lo fanno. A volte aveva incubi notturni, parlava di un lupo, ma per i bambini gli incubi notturni sono normali. Soltanto una volta mi ha detto: “Papà, la maestra mi ha dato un pugno”. Noi ne abbiamo parlato con la signora che ci ha risposto: “Lo sapete, vostro figlio è molto teatrale”».

E invece il pugno in faccia il bambino l’ha ricevuto?

«Sì, e capisco che è difficile comprender­e dall’esterno, in molti ci chiedono perché non lo avete subito portato via? Le abbiamo creduto perché abbiamo sempre avuto fiducia totale in lei: partecipav­a a tutte le feste dei bambini, faceva regali ai compleanni, sembrava molto affettuosa e premurosa. Adesso mi rimprovero, ogni giorno, perché dovevo essere più attento».

Che cosa accadeva in quel nido?

«Bambini costretti a dire di se stessi, “sono un handicappa­to”, “sono un co...”, “sono brutto”, “sono un ce...”. A qualcuno si diceva: “Giochi troppo con questo amichetto, allora sei fr...”, e lo si obbligava a ripeterlo più volte. Mi si gela il sangue, tutte le volte che ci penso. E poi spintoni, calci, pugni, lanci sul materassin­o».

E suo figlio non ha mai raccontato di ceffoni e parolacce?

«Solo quella volta, quella del pugno. Gli facevano il lavaggio del cervello, tanto che a casa i bambini dicevano bugie. Li picchiavan­o e poi dicevano loro di ripetere decine di volte: «Mi sono fatto male da solo».

I piccoli venivano obbligati a simulare atti sessuali?

«Nelle trascrizio­ni dei video e degli audio c’è tutto: a volte i bambini venivano obbligati anche a toccarsi, a baciarsi in bocca con la lingua. E puniti se non lo facevano».

Adesso suo figlio come sta?

«Lo vediamo tranquillo, contento di andare in una nuova scuola. Ma sappiamo che non è finita. Stiamo facendo un percorso terapeutic­o di recupero. A 9 mesi di distanza posso dire soltanto che la ferita è ancora aperta, ci vorrà del tempo».

Aveva anche gli incubi, credevo fosse una cosa normale...

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