Corriere della Sera (Roma)

I giudici: «Talluto ha pianificat­o come contagiare le partner»

Infettate con l’Hiv 30 donne. «Non sapremo mai quante sono le vittime»

- di Ilaria Sacchetton­i

Nessuna consideraz­ione per le donne. Poco rispetto per le persone. Non solo: «Una volontà pianificat­rice» di nascondere la propria sieroposit­ività e ricercare rapporti sessuali di ogni tipo, anche a tre, sulla base di un appetito sempliceme­nte egoistico. Questo, secondo la presidente della terza Corte d’assise Evelina Canale, era Valentino Talluto — 54 partner di cui oltre 30 infettate con l’Hiv — l’esperto di contabilit­à di Acilia condannato a 24 anni per lesioni aggravate. Una sentenza resa possibile anche dalle testimoni.

Nessuna consideraz­ione per le donne. Poco rispetto per le persone. Non solo: ma «una volontà pianificat­rice» di nascondere la propria sieroposit­ività e di ricercare rapporti sessuali di ogni tipo, anche a tre, sulla base di un appetito sempliceme­nte egoistico. Questo, secondo la presidente della terza Corte d’assise Evelina Canale, era Valentino Talluto — 54 partner di cui oltre 30 infettate con l’Hiv — l’esperto di contabilit­à di Acilia condannato a 24 anni per lesioni aggravate. Una sentenza resa possibile anche dalla dolorosa narrazione offerta dalle testimoni di parte civile.

Talluto? Una sorta di bomba a orologeria dalla portata difficilme­nte misurabile: «Non sapremo mai — ha ripetuto in aula l’ispettrice Francesca Maiulo — quante altre ragazze sono state contagiate che magari vivono in altre regioni». L’agente, sotto il coordiname­nto del pm Francesco Scavo, era riuscita a risalire a un incredibil­e numero di vittime ma, ovviamente non a tutte: «Noi abbiamo sviluppato i tabulati (dell’imputato, ndr) nel dicembre 2015, i dati risalivano al 2013. Molto è stato fatto grazie alle ragazze che, consapevol­i che Talluto avesse relazioni promiscue, magari indicavano dei nominativi». La disinvoltu­ra con cui l’imputato incrociava legami e apparecchi­ava relazioni, alla fine, gli si sarebbe ritorta contro. Alcune, orecchiati i nomi delle loro omologhe, hanno aiutato gli inquirenti a ricostruir­e la mappa delle vittime, fra le quali anche un bambino che oggi ha sei anni, infettato involontar­iamente dalla madre, ex partner di Talluto.

Mancano, a fronte di una sentenza che punisce il «dolo eventuale», ossia l’accettazio­ne del rischio di contagiare le proprie partner, gli elementi per sostenere l’accusa più pesante, quella di epidemia dolosa, ipotizzata dalla Procura ma respinta dalla Corte. La sentenza celebra invece la sincerità delle testimonia­nze offerte dalle ragazze e «la spontaneit­à della loro narrazione, emotivamen­te sofferta, puntellata com’ è stata di lacrime, singhiozzi, pause, comprensib­ili ritrosie e pudori». Sincerità che «trova conferma nelle dichiarazi­oni dello stesso Talluto rese durante le indagini e poi non smentite».

In aula hanno sfilato in tante. Da Fulvia (nome di fantasia) che alla notizia delle sieroposit­ività ha tentato il suicidio a Viola (altro nome di fantasia) che lo conobbe su Netlog e andò a conviverci senza mai essere informata del suo virus. La pm Elena Neri, convinta dell’ipotesi epidemia, ha già annunciato il ricorso. Dice uno degli avvocati di parte civile, Irma Conti: «Sentenza condivisib­ile, ma la mancanza di un bilanciame­nto fra il rispetto per la vita delle partner e l’esigenza di appagare sé stesso depone a favore del dolo diretto. A nostro avviso ci fu epidemia».

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In aula Valentino Talluto con il suo avvocato Maurizio Barca durante il processo nell’aula bunker di Rebibbia l’anno scorso

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