E adesso la camorra avanza anche sul litorale Nord di Roma
Il sistema di espandersi sul territorio era lo stesso utilizzato dai camorristi. Ma in questo caso era stato importato sul litorale romano, fra Civitavecchia e Ladispoli. Al centro soprattutto l’usura ai danni di imprenditori e commercianti della zona, in difficoltà economiche e in molti casi, come spiega chi indaga, anche con il vizio del gioco d’azzardo. Dopo le prime ordinanze del 2015 e il maxi sequestro di beni del 2016, ieri i carabinieri della compagnia di Civitavecchia e gli uomini della Direzione investigativa antimafia della Capitale hanno notificato a Patrizio Massaria, Giuseppe D’Alpino, Carlo Risso, Angelo Lombardi e Francesco Naseddu i provvedimenti di confisca di beni per oltre 100 milioni di euro disposti dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale. I cinque, secondo l’accusa, sono «ritenuti i responsabili, a vario titolo, di una consorteria criminale, che nel tempo ha consentito loro di accumulare illecitamente un ingente patrimonio». I giudici hanno anche deciso per quattro di loro la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Fra i beni confiscati ci sono 49 immobili, comprese ville con piscina e appartamenti di lusso, sempre sul litorale, otto veicoli, 23 rapporti bancari e finanziari, e cinque società con le quote aziendali. Secondo gli investigatori della Dia tre dei cinque, compreso Massaria, erano in qualche modo collegati al clan Giuliano e avevano deciso di trasferire a Ladispoli, dove si trovavano da anni, affari collegati all’usura e al gioco d’azzardo. «Una vera e propria colonia camorrista» a pochi chilometri dalla Capitale, dissero anche allora gli agenti che ricostruirono un decennio di attività della banda con intercettazioni telefoniche e testimonianze di vittime costrette a rimborsare i prestiti pagando interessi fino al 120 per cento annuo. Fra loro, come accertò la Dia, c’era anche un dipendente pubblico ormai in crisi per aver sperperato decine di migliaia di euro con scommesse clandestine sulle partire di calcio e in debito con gli strozzini per altri diecimila euro per tre anni di puntate non saldate. Per far fronte alla complicata situazione nei confronti degli usurai, l’uomo aveva anche consegnato loro parte dello stipendio, ma non era bastato per chiudere i conti. In un primo tempo i sequestri di beni sono stati effettuati anche a Cerveteri, nonché a Santa Teresa di Gallura e a Olbia, in provincia di Sassari. Gli investigatori hanno anche evidenziato la sproporzione fra i redditi dichiarati e il patrimonio posseduto. Proprio nei confronti di Massaria, la Dia lo descrisse allora come «elemento di vertice del clan Giuliano, particolarmente temuto a Ladispoli per la sua militanza criminale».