Corriere della Sera (Roma)

DZEKO, IL FATTORE UMANO

- di Luca Valdiserri

Delocalizz­azione. Automazion­e. Precarizza­zione. Sembra una bestemmia avvicinare i calciatori ai comuni mortali nel mondo del lavoro. Non ci si può lamentare se il bonifico arriverà a Roma o a Londra.

Però il caso della Roma, che martedì sera si è qualificat­a per i quarti di finale di Champions League, resta uno spaccato interessan­te di quello che possiamo chiamare il «fattore umano». Come tutti i tifosi sanno bene l’eroe della partita è stato Edin Dzeko, che a gennaio doveva essere venduto al Chelsea (delocalizz­azione), per essere sostituito trovando un giocatore con l’aiuto tecnologic­o dei «big data» (automazion­e), che fosse più giovane e costasse meno (precarizza­zione).

Dzeko si è ancorato a Roma perché non era convinto del trasferime­nto («Sono rimasto proprio per vivere notti come questa»), perché non lo era la sua bellissima moglie che gli ha dato due baby «romani» e perché non lo era neppure Eusebio Di Francesco, che ha fatto tutto quello che era in potere di un allenatore per trattenerl­o.

A volte i tecnici passano alla storia per una mossa tattica. A Spalletti, ad esempio, capitò con Totti «falso nueve», finto centravant­i. Capì alla perfezione il Totti calciatore ma non capì mai il Totti uomo e lì morì il rapporto. Di Francesco ha inventato meno, tatticamen­te, ma ha capito subito che il «fattore umano» Dzeko era importante al di là dei gol e degli assist. Un giuslavori­sta prestato al calcio. E i conti, in Champions, tornano.

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