DIPENDENTI DI UN ENTE SOVIETICO
Con cadenza settimanale, benché eccezionalmente anticipato a giovedì, si è ripetuto ieri il rito dello sciopero del trasporto pubblico romano. Stavolta però non colpisce solo che l’interruzione del servizio decisa dai sindacati danneggi precisamente i più deboli: i pendolari, chi non può permettersi un’auto, i precari che rischiano di vedere i compensi decurtati se non si presentano al lavoro per tempo. Colpisce di più la veduta d’insieme: lo sciopero è disegnato dai sindacati per infliggere disagi precisamente su coloro ai quali essi chiedono di pagare per il dissesto dell’Atac. Si direbbe quasi una tortura inflitta sui contribuenti per fiaccare la loro volontà, se non fosse tutto assurdo. La ragione del paradosso è però evidente, perché questo è uno sciopero indetto contro un concordato fallimentare il cui obiettivo è ridurre il debito tramite parziali default verso i creditori. In altri termini, le sigle dei dipendenti Atac rifiutano l’idea che sull’azienda si applichi il normale diritto civile. Vogliono che sia simile a un ente sovietico: gestito come un ramo del settore pubblico, per cui ogni perdita va sempre a carico dei cittadini (se è ancora permesso usare questa parola).