Sciopero dei mezzi tra romani indignati e turisti increduli
«Roma è bellissima per tre giorni, non di più. Sapevamo che è diventata una città problematica, ma non avremmo mai pensato di aspettare un autobus per più di 40 minuti». Angela e Carl, una coppia di Dresda in vacanza in Italia per il ventesimo anniversario di nozze, sono alla fermata San Gregorio, a due passi dall’uscita del Foro Palatino. Aspettano il 118, direzione catacombe di San Callisto. Sono impazienti, ma consapevoli che l’attesa potrebbe essere lunga: «In albergo ci hanno informato dello stop dei mezzi pubblici. Pensavamo di essere stati sfortunati, ma ci hanno risposto che qui ormai è la normalità. In Germania queste cose non succedono».
Nella Capitale invece sì: lo sciopero di ieri è infatti solo l’ennesima giornata di passione che ha messo a dura
prova l’umore dei romani. Se il blocco dell’8 marzo aveva causato solo lievi rallentamenti, nel giovedì appena trascorso gli intoppi non sono stati pochi: chiusi i cancelli della metro A e della C, ridotte le corse della B e degli autobus. Risultato: non tutti i cittadini sono riusciti, a differenza dei due tedeschi, a prenderla con filosofia.
«Sono qui da mezz’ora – dice un signore in attesa del 40 alla stazione Termini -. Bloccare una città in questo modo è una vergogna. Sono tutti responsabili». «Il 64 era talmente pieno che alcune persone sono dovute scendere perché stavano per svenire. Non si può più andare avanti così», afferma Anna, lucana trapiantata a Roma da trent’anni.
Le voci di indignazione sono tante. Molti se la prendono con i dipendenti dell’Atac: «Capisco tutto, ma non si può scioperare ogni 15 giorni - borbotta Amedeo, mentre al terzo tentativo riesce a salire sul 90 -. Girare per Roma con i mezzi pubblici ormai è come una tassa da pagare. Non se ne può più». Alcuni però non si perdono d’animo ed escogitano mezzi alternativi. «Abbiamo deciso di prendere un taxi in comune. È l’unica soluzione per non perdere tutto il pomeriggio», racconta la signora Floriana, mentre con Antonio cercano alla fermata un terzo passeggero per raggiungere piazza San Giovanni.
Altri invece assolvono autisti e controllori. Secondo Luca, pensionato con un passato da tranviere, «la colpa di questa situazione non è di chi ogni giorno ci mette la faccia in strada. L’Atac è un carrozzone soprattutto per la quantità di impiegati da scrivania assunti nel passato. Sono loro il vero problema dell’azienda». E così la pensano anche i dipendenti in divisa che incontriamo. «Io non credo negli scioperi - dice un controllore prima di salire su un tram a Porta Maggiore -, ma le soluzioni prospettate dai nuovi dirigenti non sono sufficienti per risolvere i nostri problemi». La strada individuata dai vertici dell’azienda del trasporto pubblico capitolino è il concordato, considerato ormai l’unica via per evitare il fallimento. I dipendenti però non credono che si possa mai arrivare a tanto: «Il Comune non potrà mai far fallire l’Atac – dice Sebastiano, autista del bus 649 -. Rappresentiamo un servizio indispensabile per la città. Prima o poi dovranno ascoltare le nostre pretese».
Tra i motivi dello sciopero, i dipendenti lamentano anche l’innalzamento delle ore di lavoro settimanale da 37 a 39 ore, così come avviene già in tutta Italia. «Roma non è come le altre città. Guidare un autobus tra traffico e buche è diventa un’impresa impossibile. Non possono chiederci ulteriori sacrifici, altrimenti vedrete che gli scioperi non si fermeranno».