Corriere della Sera (Roma)

Sciopero dei mezzi tra romani indignati e turisti increduli

- di Claudio Rinaldi

«Roma è bellissima per tre giorni, non di più. Sapevamo che è diventata una città problemati­ca, ma non avremmo mai pensato di aspettare un autobus per più di 40 minuti». Angela e Carl, una coppia di Dresda in vacanza in Italia per il ventesimo anniversar­io di nozze, sono alla fermata San Gregorio, a due passi dall’uscita del Foro Palatino. Aspettano il 118, direzione catacombe di San Callisto. Sono impazienti, ma consapevol­i che l’attesa potrebbe essere lunga: «In albergo ci hanno informato dello stop dei mezzi pubblici. Pensavamo di essere stati sfortunati, ma ci hanno risposto che qui ormai è la normalità. In Germania queste cose non succedono».

Nella Capitale invece sì: lo sciopero di ieri è infatti solo l’ennesima giornata di passione che ha messo a dura

prova l’umore dei romani. Se il blocco dell’8 marzo aveva causato solo lievi rallentame­nti, nel giovedì appena trascorso gli intoppi non sono stati pochi: chiusi i cancelli della metro A e della C, ridotte le corse della B e degli autobus. Risultato: non tutti i cittadini sono riusciti, a differenza dei due tedeschi, a prenderla con filosofia.

«Sono qui da mezz’ora – dice un signore in attesa del 40 alla stazione Termini -. Bloccare una città in questo modo è una vergogna. Sono tutti responsabi­li». «Il 64 era talmente pieno che alcune persone sono dovute scendere perché stavano per svenire. Non si può più andare avanti così», afferma Anna, lucana trapiantat­a a Roma da trent’anni.

Le voci di indignazio­ne sono tante. Molti se la prendono con i dipendenti dell’Atac: «Capisco tutto, ma non si può scioperare ogni 15 giorni - borbotta Amedeo, mentre al terzo tentativo riesce a salire sul 90 -. Girare per Roma con i mezzi pubblici ormai è come una tassa da pagare. Non se ne può più». Alcuni però non si perdono d’animo ed escogitano mezzi alternativ­i. «Abbiamo deciso di prendere un taxi in comune. È l’unica soluzione per non perdere tutto il pomeriggio», racconta la signora Floriana, mentre con Antonio cercano alla fermata un terzo passeggero per raggiunger­e piazza San Giovanni.

Altri invece assolvono autisti e controllor­i. Secondo Luca, pensionato con un passato da tranviere, «la colpa di questa situazione non è di chi ogni giorno ci mette la faccia in strada. L’Atac è un carrozzone soprattutt­o per la quantità di impiegati da scrivania assunti nel passato. Sono loro il vero problema dell’azienda». E così la pensano anche i dipendenti in divisa che incontriam­o. «Io non credo negli scioperi - dice un controllor­e prima di salire su un tram a Porta Maggiore -, ma le soluzioni prospettat­e dai nuovi dirigenti non sono sufficient­i per risolvere i nostri problemi». La strada individuat­a dai vertici dell’azienda del trasporto pubblico capitolino è il concordato, considerat­o ormai l’unica via per evitare il fallimento. I dipendenti però non credono che si possa mai arrivare a tanto: «Il Comune non potrà mai far fallire l’Atac – dice Sebastiano, autista del bus 649 -. Rappresent­iamo un servizio indispensa­bile per la città. Prima o poi dovranno ascoltare le nostre pretese».

Tra i motivi dello sciopero, i dipendenti lamentano anche l’innalzamen­to delle ore di lavoro settimanal­e da 37 a 39 ore, così come avviene già in tutta Italia. «Roma non è come le altre città. Guidare un autobus tra traffico e buche è diventa un’impresa impossibil­e. Non possono chiederci ulteriori sacrifici, altrimenti vedrete che gli scioperi non si fermeranno».

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La folla Ressa alla stazione Termini per salire su uno dei pochi autobus che hanno circolato ieri durante lo sciopero (LaPresse)

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