Se Dostoevskij diventa parodia
Quasi che un delitto (una colpa) gravasse sulla coscienza di Roma, per il castigo (il riscatto) è stato chiamato in causa Dostoevskij: cinque in due settimane, da Le notti bianche al Ghione a Delitto/Castigo all’Ambra, da I malvagi e Ivan all’India a, di nuovo, Delitto e castigo all’Argentina. Quest’ultimo è una produzione dell’Emilia-Romagna ed ha la regia del quarantenne Kostantin Bogomolov. Dissonante, convulsa regia, con attori italiani di valore, da Enzo Vetrano a Renata Palminiello, da Leonardo Lidi (Raskolnikov) a Paolo Musio, da Margherita Laterza a Diana Höbel e Anna Amadori a Marco Cacciola. Due idee di Bogomolov mi hanno colpito. Egli sostiene che il tema di Dostoevskij è inattuale, inattuale capire se uccidere sia giusto o no (ma sinceramente non mi pare che Dostoevskij avesse dubbi in proposito; li aveva il suo protagonista per fini tuttavia sperimentali, per mettere alla prova il suo sentimento di potenza, ovvero per scoprire se all’omicidio sarebbe seguito un senso di colpa). «Non ho voluto trasporlo ai giorni nostri» ha poi detto Bogomolov. «Altrimenti sarebbe stato inevitabile riscrivere il romanzo».
Ma il protagonista è un uomo di colore, un immigrato: non abbiamo notizia ve ne fossero a Pietroburgo nel XIX secolo. Di felicemente realizzato c’è l’idea di porre in ombra la cristianità e dare ampio respiro ad un tono cinico-ironico. Esso è così diffuso da rendere inevitabile qualificare lo spettacolo come parodistico: tranne la vicenda, rispetto a Dostoevskij tutto in esso è originale.