Corriere della Sera (Roma)

Surreale e narciso, Prieto e la fotografia

Accademia di Spagna, in mostra il ciclo di (auto) ritratti del pittore scattati nella Roma anni Venti

- Edoardo Sassi

Celebre come pittore, assai meno come fotografo. Anche perché, come spiegano gli organizzat­ori della mostra, Gregorio Prieto (1897-1992) «non tenne mai tra le mani una macchina fotografic­a».

Perché dunque questa esposizion­e retrospett­iva dal titolo Gregorio Prieto e la fotografia, che si inaugura oggi alle 19.30 presso la Real Academia di Spagna al Gianicolo? Perché per tutta la vita o quasi questo artista — definito originale, trasgressi­vo e iconoclast­a — anticipand­o di decenni alcune tendenze dell’arte contempora­nea si sentì attratto dal mezzo fotografic­o come strumento per immortalar­e se stesso. Una storia, quella raccontata in questa esposizion­e che ha già fatto tappa a Madrid, peraltro molto «romana». Perché Prieto — artista della generazion­e del ’27, grande amico di García Lorca — dal 1928 al 1933 fu pensionado nella stessa Academia de España oggi diretta da Ángeles Albert de León e che ora ospita la mostra. E tante delle sue foto (o meglio, delle foto che lo ritraggono) furono scattate nelle stesse sale dove ora fanno ritorno.

Un lungo racconto biografico «registicam­ente» immaginato da Prieto e composto da centinaia di scatti che furono materialme­nte realizzati da un altro pensionado del tempo, il suo amico e sodale Eduardo Chicharro, anch’egli pittore. Un lavoro a quattro mani in cui Chicharro si limitò quasi esclusivam­ente a «fermare» il diario di Gregorio e la sua estetica fotografic­a, fortemente influenzat­a (Prieto aveva viaggiato a Parigi) dal Surrealism­o e dagli straniamen­ti Dada. Un’estetica dunque da avanguardi­a internazio­nale, composta da azzardati accostamen­ti, cui si aggiungono però stilemi e ossessioni tipiche dell’immaginari­o dell’artista: l’ammirazion­e per l’arte greca e latina, i giardini, la statuaria classica, la bellezza di Roma, i giovani e aitanti marinai, i luoghi dell’Accademia ma soprattutt­o se stesso, in un narcisismo da autoritrat­to che diventa tratto immancabil­e di tutta l’opera.

Queste foto — agli antipodi con i dettami accademici del tempo che si limitavano all’imitazione dei classici — sono rimaste a lungo inedite. Ora compongono lo zoccolo duro di questa esposizion­e, curata da Almudena Cruz Yábar, organizzat­a dalla Fundación Gregorio Prieto e promossa dall’Ambasciata di Spagna in Italia. Un percorso che si spinge fino ai foto-collage dei successivi anni dell’esilio londinesi, quando Gregorio — stavolta in collaboraz­ione con lo scultore anglo-ispano Fabio Barracloug­h — espatriò in seguito allo scoppio della guerra del 1936.

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Accostamen­ti Sopra, Prieto in uno scatto «romano». Sinistra, una collage dell’artista
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