Corriere della Sera (Roma)

«Denunciai tangenti ora temo per la vita»

Parla Orietta Petra, superteste

- Sacchetton­i

Orietta Petra nel 2014 presenta una denuncia per una serie di truffe alla Rai: da allora vive sotto scorta. Lavora come addetta alla produzione di una piccola società televisiva . Lì schermi da pochi soldi sono addebitati per migliaia di euro, l’attrezzatu­ra di base è fatturata quanto avvenirist­ici componenti elettronic­i e avveniment­i ordinari sono travestiti da eventi planetari, tutto per drenare soldi all’azienda di viale Mazzini. Dalla sua denuncia sono partite 4 inchieste e due processi che ruotano attorno all’imprendito­re David Biancifior­i e agli allora responsabi­li dell’immagine dell’ex premier Silvio Berlusconi, Roberto Gasparotti e Giovanni Mastropiet­ro.

«Un giorno, sul tergicrist­allo della mia auto, trovo un biglietto: “attenta a quello che fai”. Ecco è iniziata così» Orietta Petra, 50 anni, la donna che ha denunciato un giro di tangenti in Rai, oggi vive sotto scorta. Quattro anni fa, da addetta alla produzione di una piccola società televisiva, fece una cosa semplice: raccontare ciò che vedeva. Schermi da pochi soldi addebitati per migliaia di euro, attrezzatu­ra di base fatturata quanto avvenirist­ici componenti elettronic­i, avveniment­i ordinari travestiti da eventi planetari, tutto per drenare soldi alle aziende pubbliche.

Dalla sua denuncia sono partite quattro inchieste e due processi che ruotano attorno all’imprendito­re David Biancifior­i e agli allora responsabi­li dell’immagine dell’ex premier Silvio Berlusconi, Roberto Gasparotti e Giovanni Mastropiet­ro. Da allora, la Petra, ha colleziona­to un rosario di minacce, l’ultima delle quali risale a pochi giorni fa.

Qualcuno è entrato nel suo ufficio, un ente pubblico, sede istituzion­ale: «Succederà ancora» dice, preoccupat­a all’idea di restare senza protezione. La scorta le è stata rinnovata ma non ha ancora ottenuto lo status di testimone di giustizia. Si sente esposta, forse lo è.

L’elenco delle intimidazi­oni è lungo: «A dicembre 2014 — racconta — due uomini vengono sorpresi sul terrazzino della mia abitazione: il cane della vicina abbaia e li mette in fuga. A luglio 2015 trovo un biglietto: “l’uccellino smetterà di cantare”. A novembre, alla stazione ferroviari­a di Monteroton­do, due uomini con caschi integrali si avvicinano. Faccio in tempo a vedere che uno dei due ha la pistola. Tempo dopo, ancora in stazione, un uomo mi punta un coltello alla pancia. Il 27 novembre qualcuno devasta il mio appartamen­to...». Un episodio che funge da spartiacqu­e: «Il giorno dopo — ricorda — la direzione antimafia mi assegnò la scorta».

In qualche modo, dice, era tutto previsto fin da quel giorno di fine gennaio 2014: «Quando spedii la mia lettera di dimissioni alla Di.Bi. di Biancifior­i» spiega. Una decisione ragionata, assicura: «Non ero più me stessa, mi pareva di vivere la vita di un’altra. Vedevo sperperi inimmagina­bili».

Svela, allora, che «un cestello meccanico per montare una telecamera per le riprese dall’alto» del costo di 700 euro fu fatto pagare alla television­e di stato «15mila euro». Che alcune riprese sulla visita di Gheddafi a Roma (era il giugno 2009, si arrivò ad allestire per l’occasione una tenda a villa Pamphili) costarono un milione e 800mila euro. Che per l’inaugurazi­one del passante di Mestre (2009) si spesero cifre leggendari­e. O che per battezzare il Freccia Rossa «furono sperperati 400mila euro». Tutto questo, a voler tacere del G8 dell’Aquila, racconta.

«All’inizio — confessa —m’illudevo di poter cambiare le cose. Ricordo un colloquio con Mastropiet­ro in cui lo avvisai che non sarei rimasta zitta ‘Dovete smetterla’ gli dissi. Ricordo che lui impallidì ma, di lì a poco, tutto continuò come al solito. Non si poteva invertire la rotta».

Dopo le dimissioni la Petra si presenta in procura. Il pm Paolo Ielo fissa una serie di interrogat­ori. Viene ascoltata a lungo, racconta l’episodio della chiavetta usb: «Ero in ufficio, una collega mi passa la chiavetta sulla quale dovevo salvare la copia di alcuni progetti, la inserisco e si apre un elenco. Nomi, cognomi e cifre. Era la contabilit­à in nero dell’azienda». L’inchiesta decolla ma lei è sempre più sola: le assegnano la scorta ma ci sono cose per le quali non c’è protezione: «All’inizio — dice — quando si seppe che avevo denunciato, nel mio ambiente nessuno mi salutava più». E’ corruzione ma sembra mafia.

Prezzi alle stelle «Un cestello per le riprese dall’alto (costo 700 euro) fu fatto pagare 15mila euro»

Monteroton­do «Alla stazione sono stata avvicinata da due tizi con la pistola e poi da uno col coltello...»

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Accusato Il cavallo Rai di viale Mazzini. A sinistra, l’imprendito­re David Biancifior­i
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