Quella legge utile che nessuno conosce
Ci sono malati che possono aspettare anche 6 mesi oppure un anno prima di sottoporsi a una risonanza magnetica o a una ecografia perché si tratta di accertamenti diagnostici «programmati»: così il medico controlla le condizioni del paziente, di solito dopo un evento acuto (ad esempio infarto, tumore o ictus). Ci sono, però, anche cittadini con il sospetto di una diagnosi infausta che impone cure farmacologiche o chirurgiche urgenti: in questi casi, ovviamente, il cittadino non deve perdere tempo. Anzi. Il diritto alla salute, però, costituzionalmente garantito, trova in una norma (il decreto legislativo n. 124 dell’aprile 1998) un ottimo alleato. Ottimo quanto sconosciuto purtroppo alla stragrande maggioranza degli italiani. Infatti il Parlamento, per andare incontro a queste delicate situazioni, dove in gioco c’è la vita, ha stabilito il diritto ad avere una visita medica o l’esame diagnostico in tempi certi (precisati nell’accordo tra Stato e Regioni firmato l’11 luglio del 2002): per le visite specialistiche 30 giorni e per gli esami diagnostici 60. Qualora i tempi di attesa dovessero essere superiori, il malato può pretendere che la medesima prestazione sia fornita dalla Asl o dall’ospedale pubblico privatamente, cioè in regime di «intramoenia», ma senza costi aggiuntivi rispetto al ticket già normalmente pagato. La prestazione può essere effettuata anche nel privato (fa notare la norma) e avere il diritto al rimborso dalla Asl. Quindi, in teoria, un cittadino non dovrebbe essere costretto a attendere mesi oppure a mano al portafoglio (se può permetterselo). Basta appellarsi a questa legge, in teoria. In pratica, però, Asl e ospedali pubblici si guardano bene dal fare conoscere questa norma. Diritti e trasparenza non sempre vanno d’accordo.
Un decreto dell’aprile 1998 Stabilisce l’attesa massima. Se si va oltre, si può chiedere di fare l’esame in «intramoenia» pagando solo il ticket