Clemente, quadri inediti ispirati a García Lorca
Nella galleria Lorcan O’Neill una personale del pittore napoletano da anni residente a New York Quadri recenti che traggono spunto dal componimento «El Rey De Harlem» del poeta spagnolo
Stavolta, sia pur in maniera molto libera, il pittore Francesco Clemente racconta di essersi ispirato all’autore spagnolo Federico García Lorca. In particolare al componimento poetico El Rey De Harlem (Ode al Re di Harlem), scritto durante la permanenza dello scrittore a New York nel 1929-1930.
E da questa ispirazione Clemente ha tratto spunto per la sua ultima personale di pittura, quella inaugurata ieri sera nelle sale della galleria romana di Lorcan O’Neill. Un nuovo gruppo di quadri che più in generale muovono dalla raccolta di poesie Poeta a New York, in gran parte inediti o comunque di recente produzione, che l’artista ha realizzato appositamente per questa personale romana (vicolo dei Catinari 3, tel. 06.68892980).
La scelta di Lorca e di NY come fonti non stupisce: Clemente — napoletano di nascita, classe 1953 — nella Grande Mela vive ormai pressoché stabilmente da oltre tre decenni, dopo esservi appro- dato per la prima volta nel 1980 e stabilendosi in uno studio nel Lower Broadway due anni dopo. Da allora l’esponente della Transavanguardia (copyright Achille Bonito Oliva) prese parte alla vivace scena artistica della città, diventandone uno dei protagonisti, anche mondani, amico e sodale di tanti altri artisti celebri con cui condivise movida, cronache e creatività (celebri i suoi lavori a quattro/sei mani con Basquiat e Warhol, per dirne due...).
In quella geografia newyorchese rientra ovviamente anche Harlem. Tanto per Lorca, la fonte. Quanto per Clemente. Famoso in Spagna come poeta d’avanguardia politicamente impegnato, Lorca arrivò a New York nel 1929 poco più che trentenne, in tempo per assistere al collasso del mercato finanziario che gettò la città in una crisi profonda. Vagando per la metropoli rimase colpito dalla vivacità culturale di Harlem, allora centro unico della popolazione afro-americana. Energia creativa del quartiere, florida scena musicale tra spiritual e jazz, difficoltà: tutto colpisce l’immaginario del poeta, che riempie di questi contenuti la sua Ode al Re di Harlem.
Un immaginario che oggi torva un riflesso nei quadri dell’artista, realizzati con il riconoscibilissimo segno della sua figurazione, quel misto di semplificazione-colore-simbolismo che, come sostiene il curatore Raymond Foyer, stabilisce «connessioni e corrispondenze fra analisi autobiografica, autoritratti sempre in mutamento, fantasie e fobie erotiche combinate alla fascinazione per sistemi metafisici (Cristianità, alchimia, astrologia, mitologia, i tarocchi), il tutto rivestito dalla reinterpretazione di fonti artistiche disparate».