I sette poliziotti «asserviti» al boss
Legati a uno spacciatore vicino alla camorra, si vendevano per il 5% degli incassi di un locale
A vario titolo sono accusati di corruzione, accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione del segreto d’ufficio. In sei sono finiti in carcere, un altro è stato sospeso dal servizio per un anno. Il gip Cinzia Parasporo, in riferimento a uno dei sette poliziotti finiti nei guai, parla di vero e proprio «asservimento». In due, tra gli agenti, vengono soprannominati «i 5%», dalla compagna di D’Aguano, il quale ogni mese versa loro - secondo i riscontri dei carabinieri - 600 euro.
«Sì, io sto qui, ma che gli dico, mica gli posso dire che ci lavoro. Gli ho detto che stavo mangiando con i bambini, vediamo un po’». Francesco Macaluso, 38 anni, poliziotto del Reparto volanti, la sera del 20 aprile scorso si trovava all’Arcadia in via di Settebagni quando i vigili urbani si presentarono per un’ispezione. Il locale è di Carlo D’Aguano, detto «il napoletano», in passato arrestato per spaccio a San Basilio, ma ritenuto da chi indaga imprenditore in ascesa con collegamenti con la malavita organizzata campana. Nel ristorante, punto di riferimento degli agenti accusati di corruzione, il trentenne in divisa ha una partecipazione del cinque per cento. Proprio come alcuni dei suoi colleghi arrestati dai carabinieri del Nucleo investigativo di via In Selci nell’operazione che ha portato in carcere lo stesso D’Aguano (36) e la dipendente-talpa della procura Simona Amodio (49). A vario titolo sono accusati di corruzione, accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione del segreto d’ufficio. In sei sono finiti in carcere, un altro (Proto) è stato sospeso dal servizio per un anno.
Per il gip Cinzia Parasporo quello di Macaluso nei confronti del pregiudicato è vero e proprio «asservimento». Lui e un altro poliziotto - Gianluca Famulari (45), del commissariato San Basilio - vengono soprannominati «i 5%», dalla compagna di D’Aguano, il quale ogni mese versa loro - secondo i riscontri dei carabinieri 600 euro. «Mio marito si compra le persone e deve stare in affari con lui», confida a un certo punto la donna a un altro agente, anche lui nelle volanti (e indagato, con un altro ancora), in contatto con D’Aguano per l’acquisizione, poi fallita, di un bar a Ponte Milvio.
Dai rilievi dei carabinieri emergono migliaia di conversazioni nel corso degli ultimi due anni fra i poliziotti coinvolti in questa storia e D’Aguano. Soprattutto un giro di favori e di proposte d’affari. A Famulari il pregiudicato presta la sua Ferrari e l’agente lo ringrazia per avergli fatto realizzare «un piccolo sogno». A Fabio Di Giovanni (47), del commissariato Fidene-Serpentara, il gip contesta invece di essersi fatto pagare la palestra e di aver ottenuto l’intestazione di quote del «Cassia Caffé», peraltro sequestrato, con la moglie dell’agente - titolare di un altro locale - in debito proprio con D’Aguano. E ancora: l’attenzione dei militari dell’Arma si è concentrata su Federico Rodio (45), vice sovrintendente a Fidene-Serpentara, segretario
Due indagati Altri due agenti sono indagati dalla procura: pure su di loro l’ombra della corruzione
dell’Associazione sportiva dilettantistica Reparto volanti, alla quale proprio «il napoletano» - sempre secondo l’accusa - nel dicembre 2016 ha versato quasi 18 mila euro come sponsorizzazione del marchio «Montecarlo Caffè», bar di via Nomentana (ex Eiffel) a lui riconducibile. Anche Rodio voleva partecipare agli affari, con il «Greta Caffé» e altri locali. Alessandro Scarfò (39), presidente della stessa Associazione, è accusato infine di aver avuto contatti con D’Aguano per ottenere quote di altri due locali da intestare alla moglie e ai parenti.