Corriere della Sera (Roma)

Papa e Onu in campo per i rifugiati

In 120 dormono in strada. «Dov’è la protezione internazio­nale?»

- Di Rinaldo Frignani

Trolley e borsoni quasi nascondono le mura di cinta della palazzina occupata da dieci anni da richiedent­i asilo sudanesi provenient­i soprattutt­o dal Darfur. Sono decine, non è chiaro quanto resteranno lì. Perché gli immigrati sgomberati l’altro ieri dalla polizia dall’edificio di via Scorticabo­ve, a San Basilio, non vogliono muoversi, non hanno accettato la proposta del Comune (o meglio, l’hanno fatto solo in due). Gli altri, oltre 120, attendono risposte, e dormono per strada o in macchina, su materassi o sotto gazebo improvvisa­ti.

Ad assisterli Croce Rossa e volontari di Baobab Experience e Alterego. In mattinata i rifugiati hanno manifestat­o davanti alla sede dell’Unhcr in via Caroncini con lo striscione «Dov’è la nostra protezione internazio­nale?». Per Carlotta Sani, portavoce dell’Alto commissari­ato delle Nazioni unite «siamo nuovamente di fronte all’evidente ed enorme difficoltà di mettere in piedi un siche

stema efficace, un investimen­to reale per l’inclusione sociale dei rifugiati che sono qui da moltissimi anni e che hanno gli stessi diritti dei cittadini italiani. Queste persone però troppo spesso non hanno accesso ai diritti, in particolar­e ad avere un’abitazione sia degna. Trovare per loro soluzioni estemporan­ee vuol dire farli ritornare al punto di partenza». Per Sani si tratta di «ragazzi che hanno un lavoro e quindi hanno diritto ad avere una vita dignitosa. Per loro tornare in un centro accoglienz­a non è neanche concepibil­e. Quella di via Scorticabo­ve, come quella di un anno fa a via Curtatone, è una situazione che si protrae da anni e che tutti conoscevan­o. Si sapeva anche che sarebbe successo questo. Ci si sarebbe aspettati una capacità di prevedere e organizzar­e la situazione in maniera migliore». Anche il vescovo ausiliare di Roma monsignor Paolo Lojudice ha incontrato una delegazion­e di rifugiati. Dopo lo sgombero di giovedì mattina quello di San Basilio rischia di trasformar­si in un caso. «L’edificio è stato sfruttato dall’amministra­zione anche come centro d’accoglienz­a quando faceva comodo - protesta Claudio Graziano, responsabi­le Immigrazio­ne

❞ Operazione fuori luogo. Sono persone fragili. Invece di pensare al dialogo, si preferisce usare la forza. Forse serviva dare un segnale Paolo Lojudice, vescovo ausiliare

dell’Arci -, è stato per anni un punto di riferiment­o, ha ospitato incontri importanti sul Darfur. Qui c’erano persone in regola con il soggiorno». L’ingresso del palazzo è stato chiuso con un lucchetto e ci sono le guardie giurate a presidiare l’edificio per scongiurar­e il rischio di una nuova occupazion­e. Al fianco dei rifugiati anche i Blocchi precari metropolit­ani. «Vivevamo qui senza pesare sullo Stato, ci gestivamo da soli - racconta Adam -. Chiediamo al sindaco di venire qui e trovare una soluzione insieme». Giovedì prossimo nuovo incontro con il Campidogli­o per arrivare a una sistemazio­ne stabile. Monsignor Lojudice definisce però «l’azione fatta (lo sgombero) fuori luogo: sono persone fragili che vivevano in una situazione pacifica di convivenza. Invece di aprire un dialogo, si agisce con la forza. Forse serviva un segnale». Ora porterà il caso all’attenzione di Papa Francesco.

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(Proto) In attesa Rifugiati nell’ex centro

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