Colombo, l’imprenditore morto sulla Porsche «Strada pericolosa, ma la ditta non intervenne»
L’ingegner Claudio Salini non è morto per «un errore umano». La notte del 30 agosto di tre anni fa il professionista quarantenne, appartenente alla nota famiglia di costruttori, ha perso la vita al volante della sua Porsche Carrera per una serie di cause collegate a un profondo avvallamento stradale che c’era all’incrocio fra via Cristoforo Colombo e via Costantino, non segnalato da un cartello di pericolo ma soltanto da uno che indicava come limite di velocità in quel punto i 30 chilometri orari.
Ne sono convinti gli avvocati della moglie di Salini che si sono opposti alla richiesta di archiviazione delle accuse nei confronti di un architetto del dipartimento Sviluppo infrastruttura e manutenzione urbana del Comune (Simu), direttore dei lavori della grande viabilità, lotto 5, l’amministratore unico, il responsabile della sorveglianza e direttore tecnico di cantiere e il capo cantiere della ditta Opera srl, che si era aggiudicata il contratto per i lavori di pronto intervento stradale. Nei prossimi giorni il gip deciderà se proseguire le indagini sull’incidente, svolte dai vigili urbani e da alcuni consulenti della procura e di parte. Secondo l’avvocato Oliviero De Carolis Villars già nella prima informativa della polizia municipale si era parlato di un avvallamento con «varie tracce di abrasioni lasciate dal passaggio dei veicoli», con manto stradale «sfaldato in più punti» e una buca sulla corsia centrale.
Per i legali dell’imprenditore il consulente tecnico della procura non avrebbe effettuato «una vera e propria ricostruzione della dinamica dell’incidente», mentre quello dei Salini non ha potuto svolgere accertamenti tecnici irripetibili perché nel frattempo l’avvallamento è stato eliminato con il rifacimento della strada pochi giorni dopo la morte dell’ingegnere.
E se è vero che per il consulente della procura nella morte del 40enne ha giocato un ruolo fondamentale la velocità della Porsche - stimata in 170 chilometri orari - è altrettanto vero che all’epoca l’allora pm Alberto Liguori aveva comunque deciso le iscrizioni nel registro gli indagati ed era stato informato dai vigili di altri tre gravi incidenti avvenuti in quello stesso punto della Colombo a gennaio, aprile e luglio 2015. Ma c’è anche un altro particolare sul quale l’avvocato De Carolis richiede l’attenzione del gip: il fatto che per due volte, all’inizio e alla fine di agosto 2015, quella ditta non aveva eseguito i lavori di rifacimento della strada segnalata come pericolosa dalla municipale, probabilmente - come aveva spiegato Andrea Spaccialbelli, direttore dei lavori del Simu, ai vigili urbani - «per problemi di carattere economico». L’avvallamento quindi era rimasto lì, con il cartello dei 30 all’ora «non posizionato alla corretta distanza» (16,5 metri invece di 150). Un segnale, per chi vuole fare luce sulla morte di Salini, praticamente inutile.