Turni di lavoro e sicurezza I macchinisti sfidano l’Atac
Contratto, questa volta la trattativa è sui convogli sotterranei
Mentre in Atac si registrano i primi risultati della strategia di rilancio messa a punto dal dg Paolo Simioni, le rappresentanze dei lavoratori pungolano la municipalizzata per rimodulare i turni dei macchinisti: questione sollevata già lo scorso 27 novembre, alla firma dell’accordo con i sindacati per ottenere la copertura al piano di concordato. E però se da un lato la cura introdotta dall’imprenditore triveneto ha marciato in direzione del taglio agli sprechi e del miglioramento delle performance aziendali, dall’altro ha prodotto come effetto collaterale l’irrigidimento su alcune posizioni.
L’equazione, portata in questi giorni al tavolo delle trattative, è semplice: se i vertici di via Prenestina chiedono al personale di esercizio di aumentare l’efficienza, la contropartita deve essere la garanzia di operare in condizioni adeguate sia per i dipendenti sia per i milioni di passeggeri che ogni giorno si spostano nella subway romana. La negoziazione ruota intorno a due aspetti: primo, l’intenzione del management di introdurre strumenti per monitorare l’attività e le procedure svolte anche tramite badge; secondo, il pressing dei sindacati sulla società di trasporto pubblico per riorganizzare lo scheduling (la tabella di marcia) a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. L’ipotesi sulla quale si è aperto il confronto è quella di spostare la pausa dei macchinisti al centro del turno, anziché concentrarla nella parte finale. Tenuto conto che un giro in metropolitana, ovvero il tragitto di andata e ritorno da un capolinea all’altro più i sei minuti di «cambio banco» (lo spostamento a piedi da una cabina di guida all’altra in base al senso di marcia) dura in media 88 minuti: finestra di poco inferiore all’ora e mezza, che spiega l’insistenza sulla necessità di inserire lo stop durante il «tempo macchina» invece di metterlo in coda. «Oltre alla routine di guida, che dopo alcune ore può indurre stanchezza, le condizioni in metro, dove il ricambio d’aria e la visibilità non sono paragonabili all’ambiente in superficie, richiedono misure idonee per la salvaguardia dei lavoratori», premono i sindacati. Tradotto: fermarsi e riposare, senza accumulare troppe ore di fila alla guida con il rischio di cali di attenzione e sonnolenza.
Ritocchi più facili a dirsi che a farsi, se si tratta di rivedere il gioco di incastri condensato in sei ore e 1o minuti. Basta che i tempi di percorrenza, calcolati su una media standard, si dilatino per mettere in crisi il meccanismo. L’esempio classico è la calca che si forma in punti affollati come la stazione Termini perché il meccanismo si inceppi: se per l’operazione di discesa e salita dei passeggeri il treno resta fermo in banchina più del dovuto, ecco che il ritardo non potrà non incidere sul turno. E a quel punto, delle due l’una: o gli extra si tramutano in straordinari, dunque in ulteriori costi per l’azienda, o qualche giro rischia di saltare come avviene anche per le corse degli autobus bloccati nel traffico. Sul rebus le parti si lambiccano da giorni, consapevoli della difficoltà di trovare il punto di equilibrio nonostante i migliori propositi. È probabile che la soluzione, viste le premesse, tardi ad arrivare. A meno di avere come asso nella manica uno stratega della pianificazione o un talento diplomatico degno di Talleyrand.