La gioventù bruciata di «Leonard da Vinci»
A Santa Cecilia debutta West Side Story di Bernstein
Leonard da Vinci. Bernstein e il padre della Gioconda: due geni dalla personalità multiforme. Il primo, direttore, compositore, pianista, magnifico affabulatore della musica; l’altro, pittore, scultore, scienziato, inventore (fece uno studio sul volo che per certi versi anticipò di secoli gli aeroplani). E poi coltivarono l’infinitezza: Leonard con l’abortito proposito di creare l’opera nazionale americana, Leonardo con le sue tante tele incompiute. Entrambi spinti dall’utopia e dall’urgenza di migliorare il mondo.
L’Accademia di Santa Cecilia riapre stasera con West Side Story, nel centenario del direttore-compositore americano. «Sarà un’inaugurazione elettrizzante» dice il presidente Michele Dall’Ongaro, «è una storia di giovani che non ce la fanno perché la società non li illumina, è una gioventù che arranca e non ha speranze. Gli adulti sono rappresentati da un poliziotto corrotto ed è il contrario del grande sogno americano».
E il direttore d’orchestra Antonio Pappano: «Ho aspettato una vita per fare questo pezzo, sarà che ce l’ho nel mio DNA da emigrato, io sono andato in America nel 1973 dall’Inghilterra. Non so se appartengo ai Jets o agli Sharks, le due gang rivali, ma ho l’opportunità di essere l’uno er l’altro in questa circostanza».
È una versione da concerto, sfrondata di alcuni dialoghi che vengono integrati nella musica, dunque con una coerenza drammaturgica, autorizzata dalla Fondazione Bernstein. «A chi mi chiede se sia strano inaugurare la stagione con un musical rispondo che non lo è, perché creiamo e costruiamo una stagione in base a dei colori e delle personalità, ed è la continuazione di un progetto avviato con le sue Sinfonie».
Escono due libri su Leonard che raccolgono ricordi personali,vita familiare, fatti di cronaca,
lettere, dichiarazioni: Scoperte di Giovanni Gavazzeni (il Saggiatore), e Una traccia per la memoria di Roberto Tirapelle (Sequenze). Qui si compie un viaggio che ripercorre il rapporto di Lenny con l’Italia e in particolare con Roma. Sul podio di Santa Cecilia debuttò nel 1948, all’età di 30 anni. Ma è nell’ultimo tratto della sua vita, quando divenne presidente onorario dell’Accademia, che intensificò le sue presenze. Delle orchestre italiane, Santa Cecilia era la sua preferita. A Roma realizzò il
suo vecchio sogno di eseguire (e registrare su disco) La bohème con una compagnia di talenti americani. «Torno giovane con loro». L’Italia in musica di Bernstein, Roma, la Scala, La Fenice, Firenze e le magnifiche Panatenee Pompeiane creatura di Francesco Siciliani, non dimenticato presidente di Santa Cecilia negli anni 80, straordinario organizzatore musicale che ebbe tanti meriti, la Callas, il Maggio e l’operazione Bernstein a Roma. In gioventù Bernstein aveva sperimentato al Greenwich ciò
che Puccini mise in musica in quella soffitta parigina. Bernstein era Rodolfo, «anche io non riuscivo a pagare l’affitto, ho passato momenti difficili, ho patito la fame. Sono stato bohémien». Non era mai banale. Amava dilungarsi sul fascino misterioso di Venezia, in occasione del premio Una vita nella musica disse che «a New York e Parigi incontri intellettuali e la seduzione del denaro. Venezia possiede soltanto se stessa».