Festa del cinema De Angelis, un film sulla speranza
Edoardo De Angelis dopo «Indivisibili» torna a Castel Volturno per il suo quarto film, presentato ieri alla Festa di Roma
«Non è una novità partire dal mio vissuto, quello che è nuovo è il modo in cui ho messo in relazione la mia vita con il racconto». Edoardo De Angelis ha portato ieri alla Festa del cinema Il vizio della speranza, scritto con Umberto Contarello, primo titolo italiano della Selezione ufficiale, in uscita il 22 novembre con Medusa. La sua opera quarta, dopo il fortunato Indivisibili, Perez. e Mozzarella stories. In ognuno, racconta, ha messo un pezzo di sé. «Questa volta però ho spostato l’asse su una donna: il film nasce dal mio incontro con lei». Ovvero con Pina Turco, protagonista del film, nonché moglie e madre di suo figlio. «Ha cambiato la mia vita e mi ha spinto a raccontare la complessità del desiderio di trasformarsi e ricostruirsi, cercare il distillato di cosa significhi nascere».
Nel film, girato lo scorso inverno in una Castel Volturno livida e plumbea, Pina è Maria, che si prende cura della madre (Cristina Donadio) e di mestiere fa l’assistente di un’anziana madame eroinomane e ingioiellata (Marina Confalone) che gestisce, con la complicità di un medico, un traffico di neonati partoriti dalle prostitute immigrate ridotte in schiavitù, in maggioranza nigeriane. È Maria a traghettarle lungo il fiume, il Volturno, in giornate tutte uguali («Nei trentasette giorni di riprese, abbiamo avuto pioggia e persino neve per trentaquattro, non succedeva da cinquant’anni»), senza desideri né speranza, fino a quando non si accorge di essere incinta anche lei. «La resistenza umana è la più grande delle rivoluzioni. Per questo abbiamo immaginato un lungo inverno dove tutto sembra morto e si accendono fuochi per riscaldarsi mentre si aspetta che passi, che la natura rinasca. Nel film vince chi resiste e chi ha la pazienza di aspettare che qualcosa cambi. E quando questo succede, come nel caso di Maria, la scoperta di avere una possibilità diventa l’unica forma di sopravvivenza. L’unica possibilità è agire».
Il film, dice De Angelis, è volutamente fuori dal tempo ma racconta l’Italia di oggi. «Certo che è un film politico, non saprei fare altro, raccontare è vedere il mondo, non guardarlo con l’occhio del turista. Non è ambientato a Castel Volturno è generato da quelle terre. Venticinquemila abitanti regolari, venticinquemila irregolari. L’Italia è mischiata, da sempre, dire il contrario significa commettere un grave peccato di amnesia e ignoranza colpevole».
Una parabola contemporanea, una natività sullo sfondo di un limbo infernale. «L’aspirazione del racconto era parabola, qualcosa di semplice ma che non invecchiasse, che attingesse a radici arcaiche capace di parlare dell’oggi e del domani. Volevo realizzare un film in forma di preghiera laica, che si possa ripetere a memoria, per trovare un significato nuovo all’interno delle stesse parole». L’officiante, Pina Turco, concorda e aggiunge. «A spronarmi è stata paradossalmente la sfiducia iniziale di Edoardo, temeva non fossi pronta pe run ruolo così forte. Ma questa sfiducia è diventata il mio vizio della speranza, l’ho coltivata, e, alla fine, l’ho ringraziata».
Il regista
«In questo film vince chi resiste e chi ha la pazienza di aspettare che qualcosa cambi»