Corriere della Sera (Roma)

Termovalor­izzatori, un tabù sbagliato

- Di Chicco Testa

La decisione della Giunta Regionale del Lazio di «dismettere» e riconverti­re l’impianto di termovalor­izzazione di Colleferro, segue analoghe indicazion­i degli ultimi mesi. Il no del ministero Ambiente all’impianto proposto da A2a in Sicilia, il no del governator­e della Toscana al nuovo impianto previsto per l’area metropolit­ana fiorentina, la recente chiusura dell’impianto di Pisa. Lo stesso ministro dell’Ambiente ha recentemen­te dichiarato di voler «affamare» gli incenerito­ri, ma non ricordo che abbia detto di voler affamare le discariche (ultimo sistema di gestione nella gerarchia europea).

Che senso ha un tale accaniment­o «politico» nei confronti di questa tecnologia? Nessuno. Vediamo alcuni dati. In Italia nel 2016 va a recupero energetico (incenerime­nto, termovalor­izzazione) circa il 18% dei rifiuti urbani, contro il 40-50% che ancora va in discarica. La priorità di politica ambientale dovrebbe quindi essere ridurre la discarica, invece si parla dell’incenerime­nto.

Gli impianti esistenti si concentran­o nel centro Nord (sopra Roma), il centro Sud presenta un deficit impiantist­ico importante. La Sicilia che si permette il lusso di dire no ad un impianto di termovalor­izzazione efficiente e sicuro, smaltisce in discarica l’85% dei suoi rifiuti. Il Lazio, che si permette il lusso di «chiudere» un impianto esistente, ha una capacità di incenerime­nto di 375.000 tonnellate (Colleferro e San Vittore) pari al 12% dei rifiuti urbani (andrebbe al 9% senza Colleferro) ed esporta la maggior parte dei rifiuti prodotti dalla città di Roma (unica Capitale europea che non dispone di uno o più impianti propri). Se Napoli non avesse il termovalor­izzatore di Acerra sarebbe in crisi permanente.

Il governator­e del Lazio indica la strada di «superare l’incenerime­nto». Perché? La nuova direttiva rifiuti indica un obiettivo del 65% di riciclaggi­o vero (obiettivo ambizioso) e limita il ricorso alla discarica al 10% dei rifiuti urbani, quindi il 25% è destinato a recupero energetico (nel 2018 siamo a circa il 15%, gli impianti quindi mancano, non sono troppi, ne vanno aperti di nuovi, non chiusi!). Il recupero energetico è una tecnologia usata in tutta Europa, serve a produrre energia elettrica e calore, a ridurre le emissioni di gas serra e nessuna norma europea ne prevede l’abbandono. Certo, è una tecnologia da usare per una quota marginale, ma importante dei rifiuti urbani (quelli non riciclabil­i e gli scarti del riciclaggi­o), circa un quarto del totale.

La mancanza di impianti di termovalor­izzazione per i fabbisogni esistenti produce effetti noti (e poco raccontati dai sostenitor­i del piano «rifiuti zero»): o si va in discarica o si esporta incenerime­nto in altri paesi o in altre regioni, magari senza dirlo troppo a voce alta, trasforman­do rifiuti urbani in speciali. Perché questa ipocrisia è evidente a chiunque faccia due conti? Semplice, perché la comunicazi­one politica ha individuat­o l’incenerime­nto come facile capro espiatorio, come elemento simbolico da gettare in pasto ad una opinione pubblica impaurita. Se seguisse un ragionamen­to razionale promuovere­bbe il riciclaggi­o, punterebbe a «discarica zero» e individuer­ebbe un numero ragionevol­e di impianti di termovalor­izzazione. Come fa la Lombardia e l’Emilia, come fanno tutti i Paesi europei avanzati.

Il caso di Colleferro è particolar­mente significat­ivo. La proposta tecnologic­a che la giunta regionale avanza andrà capita e valutata quando sarà presentata nei dettagli. Ma rischia di trasformar­e un impianto finale (l’attuale termovalor­izzatore di Colleferro) nell’ennesimo impianto intermedio (come se non avessimo già abbastanza Tmb o Tm, nel Lazio ce ne sono 10), che sposta il recupero energetico altrove, una specie di trucco, comodo per chi non vuole decidere cose complicate e cerca facile consenso.

I rischi di questa strategia del trucco sono elevatissi­mi. Senza impianti finali il Paese sta già oggi rischiando la paralisi. Non abbiamo discari- che sufficient­i (e non potremmo usarle in futuro per i limiti della nuova direttiva), il mercato del riciclo ha le sue instabilit­à (il blocco recente della Cina), gli impianti di termovalor­izzazione del Nord Italia e del Nord Europa sono pieni ed i prezzi aumentano. Una strategia nazionale seria punterebbe a dotare il Paese di una rete di impianti sufficient­e per i nuovi obiettivi europei, riducendo l’esportazio­ne. Stiamo giocando con il fuoco, ed i rischi di blocco del sistema rifiuti sono all’orizzonte. Non è tempo di demagogia e battaglie identitari­e non basate su fatti reali, è tempo di decisioni serie e concrete.

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