Corriere della Sera (Roma)

La sora Pina, cuoca a 87 anni «Io e Pasolini»

La cuoca del Biondo Tevere. «Dopo la guerra qui pranzavano gli operai, poi vennero gli scrittori in cerca di ispirazion­e. L’ultima cena di Pasolini»

- Di Fabrizio Peronaci

In attesa del superament­o della legge Fornero, tra divieti di cumulo, finestre mobili e complicati ricalcoli, c’è una signora con addosso la parannanza e in pugno un mestolo che ad andare in pensione non ci pensa proprio. Lavora 7 giorni su 7, a pranzo e cena, con una pausa di 3 ore nel pomeriggio.

Èuna chef, come precisa il sito del suo ristorante. Magari non stellare – «a me i piatti che sembrano opere d’arte nun piacciono, so’ mezzi vuoti, la gente che se

magna?» – ma imbattibil­e se c’è da mettere a tavola una amatrician­a. Da 62 anni il suo regno fatto di pentoloni, casseruole, padelle, scolapasta, cassette di pesce arrivato da Anzio, verdure «da capare» e scaloppine da mantecare è qui, nella cucina del “Biondo Tevere”, la terrazza sul fiume all’altezza di via Ostiense, diventata per uno di quegli accidenti che fanno la storia luogo della memoria di un intero Paese. Fu lei, Giuseppina Sardegna in Panzironi, 87 anni magnificam­ente portati, a prendere la comanda che le portò la buonanima di suo marito alle 11 di sera del 1° novembre 1975, e quindi l’ultima, o quasi, a vedere PPP vivo. «Giuseppì, uno spaghetto ajo e ojo!» E lei: «A quest’ora?» E il sor Vincenzo: «E che a Pasolini je dimo di no?» (ma non era per il regista, che aveva già cenato da “Pommidoro”, bensì per Pino Pelosi detto “La rana”).

Gentili clienti, buon appetito. Altro che quota 100. La decana delle cuoche d’Italia il tempo del riposo lo avrebbe raggiunto da un pezzo, «ma in pensione nun me ce manna», dice sorniona indicando suo figlio Roberto, il “principale” che però fa tutto, come si usa nelle migliori aziende a conduzione familiare, e ora sta entrando in sala con 4 tonnarelli cacio e pepe in bilico sulle braccia… Aveva 25 anni, l’Italia uscita a pezzi dalla guerra stava per vivere la sua epopea – il boom, il rock ‘n’ roll, la Lambretta – e lei, Giuseppina, veniva da un’esperienza in fabbrica, nel maglificio Luisa Spagnoli, quand’ebbe la ventura di innamorars­i, più che ricambiata, del figlio dell’oste sul biondo fiume.

Correva l’anno 1956, quello dell’invasione dell’Ungheria. Al centro della difesa gialloross­a giocava Giacomo Losi, detto “core de Roma”. Preistoria. Tre generazion­i fa. «All’inizio me pareva ‘n sogno... L’Italia cresceva, arrivavano i comfort moderni e noi ragazzi eravamo felici, anche se lavoravamo tanto». La classica trattoria alla buona: per una pasta e fagioli e un quarto di vino bastavano 70 lire... «L’Ostiense era un quartiere di fabbriche: qua attorno, dove ora hanno aperto le discoteche, c’erano la Buitoni, la Forestale legname, la Vetreria San Paolo, oltre che i Mercati generali, e così da noi era pieno di operai...»

Poi arrivò il ‘68: Valle Giulia, le femministe, l’avanzata della sinistra. Tanti fermenti dai quali nasce la svolta: una delle più belle terrazze di Roma diventa punto di ritrovo di scrittori, poeti, cineasti. «Un po’ alla volta cominciaro­no a venire gli intellettu­ali. S’erano passati la voce, qui trovavano ispirazion­e grazie al contatto con la gente comune». Chissà quante opere letterarie di fine ‘900 sono nate «Al Biondo Tevere», tra una porzione di polpette e una cicoria ripassata... «Nostri clienti erano Moravia e Pasolini, Laura Betti, Mario Pannunzio e Dario Bellezza, tanti comunisti, Berlinguer, Cossutta, Occhetto, registi come i fratelli Taviani, ex partigiani, cantautori...»

Si ferma. Il pensiero è tornato lì, a cosa bolle in pentola. «Robe’, controlli il minestrone?» E a me: «Giornali’, te sei accorto delle tovaglie di carta?» Nel frattempo mi sono scolato un bicchiere di bianco di Zagarolo. «Certo, le usano tante osterie!» «No, c’è un motivo preciso - spiega la capo-chef che tra poco compirà 88 anni e adesso ha premura di tornare ai fornelli -. Gli intellettu­ali osservavan­o, rifletteva­no e prendevano appunti lo sai dove? Sulla tovaglia, ovvio! Tanti mi dicevano: Giuseppì, nun t’azzarda’ a mette’ quelle de stoffa... Quante volte Pasolini se ne andava ficcandose­la in tasca...»

Va be’, ma cosa gradivano? «Moravia mangiava pochissimo, si vede da quant’era magro. Fu lui a inventarsi il carpaccio di funghi tagliati fini, con lattuga, olio e limone, e da allora cominciai a farlo per tutti...» Anche Elsa Morante si teneva leggera («Mezza sogliola e contorno, senza neanche finirli»), mentre «Pasolini odiava il sale, voleva tutto sciapo, o quasi. Così il cervello resta più attivo, diceva».

Non come quel crapulone dell’ex capo del Cremlino... «Doveva essere il 2000 - rievoca la sora Pina - Gorbaciov era in visita a Roma e ci arrivò la prenotazio­ne: un tavolo da 24 coperti più un altro per la scorta. Bloccammo l’intera sala...» Il menù ancora se lo ricorda: «Semplice ma abbondante! Affettati con focacce, amatrician­a, abbacchio alla scottadito, carciofi alla giudia, crostata di visciole, caffè e ammazzacaf­fè. Gorbaciov fu contentiss­imo, alla fine volle farsi la foto con me...»

Un segreto da cuoca da regalare ai lettori? Ci pensa un

Segreti «Per fare un buon fritto bisogna butta’ il pesce quando l’olio c’ha ‘na certa consistenz­a»

Pier Paolo Pasolini Mangiava sciapo. «Il cervello diceva - così è più attivo»

Mikhail Gorbaciov Gli riservammo una sala: gradì il menù e alla fine volle una foto con me

Alberto Moravia Si inventò il carpaccio di funghi tagliati fini e lattuga

Elsa Morante Ci teneva a restare leggera: sogliola e contorno

Piatti preferiti «I tonnarelli funghi e piselli, che me vengono speciali, e per contorno le ramoracce»

attimo. «Eccolo. Pe’ fa’ ‘n fritto de paranza perfetto bisogna sta’ attenti alla temperatur­a, butta’ il pesce quanno l’olio c’ha ‘na certa consistenz­a». Piatti preferiti? «Tonnarelli funghi e piselli, che come li faccio io nun me batte nessuno, baccalà con patate e, per contorno, le ramoracce, quella verdura selvatica simile ai broccolett­i, buonissima...»

Giuseppi’, ma ‘na tartare di fassona con mousse di gorgonzola no? Un risotto liquirizia e gamberi? Un semifreddo ai cachi? Sai com’è, sennò gli chef stellati ci restano male... Mi guarda di sottecchi, si fa una risata. «Per carità! Qua se magna verace!» Saluta, si dirige verso la cucina: «Robe’, famo ‘na gricia come se deve al signore?»

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 ??  ?? Ai fornelli dal 1956 Giuseppina Sardegna Panzironi, classe 1931, vedova di Vincenzo, titolare del ristorante «Al Biondo Tevere» dagli anni ‘50. «A Pasolini l’ultima sera cucinai uno spaghetto ajo e ojo» (foto LaPresse / Andrea Panegrossi)
Ai fornelli dal 1956 Giuseppina Sardegna Panzironi, classe 1931, vedova di Vincenzo, titolare del ristorante «Al Biondo Tevere» dagli anni ‘50. «A Pasolini l’ultima sera cucinai uno spaghetto ajo e ojo» (foto LaPresse / Andrea Panegrossi)

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