Corte dei conti, asso di Giampaoletti «In Ama c’era conflitto d’interessi»
Quattro interrogatori che danno il via a nuovi approfondimenti e spiegano solo in parte le ragioni della lunga crisi Ama. La versione di Lorenzo Bagnacani, Mauro Lonardo, Franco Giampaoletti e Pinuccia Montanari, offerta negli ultimi due giorni alla procura contabile, è al vaglio degli investigatori. Di certo c’è che Giampaoletti, con un piccolo colpo di scena, ha tirato fuori una questione che, se fosse confermata, spiegherebbe i dubbi dell’amministrazione capitolina nell’approvare il bilancio positivo dell’Ama per il 2017. Vale a dire un conflitto di interessi della società Ernst & Young che, mentre certificava positivamente i conti della municipalizzata, varava un importante progetto di riorganizzazione commissionato dagli stessi vertici aziendali. Un fatto che proverebbe come la società di consulenza, teoricamente imparziale rispetto ad Ama, avesse invece tutto l’interesse a garantire l’approvazione del bilancio e a dare mano libera al management sul fronte della riorganizzazione. Non a caso il pm contabile Massimo Lasalvia ha in mente di ascoltare Mauro Ottaviani partner di Ernst & Young in Italia. Il direttore generale del Campidoglio, Giampaoletti, ha anche ammesso di aver incontrato il presidente del collegio dei revisori Mauro Lonardo per quel famoso caffè (da Panella in via Merulana) che avrebbe cambiato il corso della vicenda, trasformando in negativo il parere sul bilancio 2017. E ha sostenuto quello che gli addetti ai lavori dicono da tempo. Che cioè il Campidoglio è orientato a lasciare all’Ama i 240milioni di Tari raccolta in cambio dei 234 che gli deve secondo l’ultimo bilancio approvato (2016). Un modo per rassicurare le banche sui flussi finanziari della municipalizzata.
Lonardo ha invece raccontato un episodio relativo all’agosto 2018: durante la chiamata del Comune per nominare i nuovi membri del collegio di revisione il suo nome scomparve dalla rosa dei candidati, un fatto interpretabile come un invito (non esattamente gradevole) a modulare i propri comportamenti sulle esigenze capitoline. Infine Bagnacani. L’ex presidente dell’Ama ha aggiunto alla documentazione, già portata all’attenzione dei magistrati, nuovi elementi. Uno in particolare: la lettera inviata alle banche per disdire l’accordo sui prodotti derivati finanziari. Una vecchia partita che l’azienda dei rifiuti avviò all’epoca del centrodestra e che è costata all’Ama 66milioni di euro di buco. Non è stata l’unica eredità sgradita. Con i derivati ci sono anche due fondi immobiliari (fondo ambiente e fondo sviluppo) la cui gestione ha creato una serie di problemi alla municipalizzata. Liberarsi degli uni e degli altri, derivati e fondi, come Bagnacani avrebbe voluto, poteva diventare, ha sostenuto l’ex presidente, una scelta impopolare per il Campidoglio.