Il mio «Mondo perduto» da via Veneto a Pasolini
Ieri al Maxxi l’incontro con il fotografo Paolo di Paolo
Quando ieri sera le luci dell’Auditorium del Maxxi si sono abbassate, dando il via alla Conversazione d’autore tra il fotoreporter Paolo Di Paolo e Giuseppe Di Piazza (responsabile del supplemento Roma del Corriere della Sera), il grande schermo si è accenso sul bianco e nero di un tavolino su via Veneto negli anni Cinquanta. Con due sceicchi inquadrati di spalle proprio dall’obiettivo della più prolifera macchina fotografica del settimanale Il Mondo (oltre 600 scatti in diciassette anni). «Stavano seduti a godersi lo spettacolo della Dolce Vita — ha ricordato Di Paolo — che però non esisteva, e non è mai esistita. L’ha inventata Fellini, perché la verità è che attorno a Porta Pinciana in quegli anni c’era ben poco di dolce. Eppure il mondo pagava il biglietto aereo per Roma pur di prendere posto a quei tavolini con vista sul nulla».
È partita da qui la cavalcata di domande, risposte e (tanti) ricordi tra Di Paolo e Di Piazza — «Spiriti vicini, uniti dalla passione per la fotografia e dalla deontologia della notizia», li ha definiti la presidente del Maxxi Giovanna Melandri nella sua introduzione all’incontro — che insieme hanno sfogliato l’album da trecento fotogrammi raccolto nella mostra Mondo perduto, ospitata fino al primo settembre nello Spazio Extra del museo di via Guido Reni, a cura di Giovanna Calvenzi.
Le immagini sono scivolate una dopo l’altra. Così come le curiosità: «La prima Leica la comprai alla stazione Termini, a rate… non sono certo di averle saldate tutte ma la conservo ancora». Poi i racconti dei backstage: «Ero in Alto Adige, stavano girando Amanti e Marcello Mastroianni si lamentava perché Faye Dunaway dormiva sempre, anche lì, in quel momento. Così lo spinsi a svegliarla, lui
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La prima Leica la comprai alla Stazione Termini, a rate… non sono certo di averle saldate tutte ma la conservo ancora
iniziò col prenderle la mano e finì col baciarla. E alla fine scoppiò la loro love story, anche fuori dal set». Quelli dei reportage più spinosi: «Con Pasolini ci furono grandi momenti di imbarazzo, per entrambi, durante la realizzazione dell’inchiesta La lunga strada di sabbia sulle vacanze degli italiani. Non era semplice intavolare una conversazione con lui, era molto riservato, non prendeva mai appunti, non intervistava nessuno e io temevo che non avrebbe saputo scrivere granché. Quando invece lessi i suoi articoli capii veramente il suo spirito: vagava alla ricerca di fantasmi di un’Italia perduta».
E ancora, la foto più difficile: «Il capo disse che ero il fotografo dei servizi impossibili, una specie di Santa Rita, e mi spedì da Tornese, cavallo dei record che improvvisamente non vinceva più. Aveva il muso più triste ma non mi bastava. Aspettai finché guardò il suo sulky da corsa parcheggiato». Di Paolo, non senza esitazione da gentiluomo, ha anche confessato: «La Magnani mi disse, infastidita, che un giovane attore con cui aveva una storia era talmente in soggezione che la chiamava “signora” anche nell’intimità». Infine ha salutato dicendo: «Sono la Greta Garbo della fotografia, come lei mi ritirai prima che il mestiere mi logorasse. Questo mi ha concesso di essere qui con voi senza rimorsi».