UNA CITTÀ RIVOLTA AL FUTURO
«Il mio rammarico è che tutto a Roma sembra riguardare il passato. Ma questa è una città del presente che deve diventare una grande città del futuro». Così ha esordito Daniel Libeskind in una affollata conferenza al Festival dell’ Architettura che si è appena concluso nella pomposa sede dell’Ordine degli architetti. Il progettista del Ground Zero, del museo ebraico di Berlino e di tante opere che lo rendono tra i più celebrati architetti del mondo, ha messo il dito nella piaga. A Roma «tira» il passato e trapassato remoto, e non certo il presente né il futuro. A seguire, incalza Franco Purini, teorico e progettista: «A Roma manca il turismo del Nuovo, che c’è invece a Parigi». Il Maxxi non è certo la prima cosa che un turista va a vedere. Roma si bea dei suoi tesori storici, e quando arriva l’architettura d’oggi (l’Ara Pacis di Meier, per esempio) arriccia il naso o protesta.
Perché questa resistenza a guardare avanti proprio in una città fatta di tante opere nuovissime ai loro tempi, qualcuna perfino rivoluzionaria? Si pensi alle novità di Borromini. Secondo alcuni è l’immensa stratificazione artistico culturale a frenare ogni slancio, per altri è la mancanza di promessa di futuro a condizionare la prospettiva. Ma la «grande città» di Libeskind è possibile: a condizione che i romani sappiano condurre ogni energia su progetti concreti ed ambiziosi. Guidati da amministratori finalmente adeguati al loro difficile ruolo.