Corriere della Sera (Roma)

UNA CITTÀ RIVOLTA AL FUTURO

- Di Giuseppe Pullara

«Il mio rammarico è che tutto a Roma sembra riguardare il passato. Ma questa è una città del presente che deve diventare una grande città del futuro». Così ha esordito Daniel Libeskind in una affollata conferenza al Festival dell’ Architettu­ra che si è appena concluso nella pomposa sede dell’Ordine degli architetti. Il progettist­a del Ground Zero, del museo ebraico di Berlino e di tante opere che lo rendono tra i più celebrati architetti del mondo, ha messo il dito nella piaga. A Roma «tira» il passato e trapassato remoto, e non certo il presente né il futuro. A seguire, incalza Franco Purini, teorico e progettist­a: «A Roma manca il turismo del Nuovo, che c’è invece a Parigi». Il Maxxi non è certo la prima cosa che un turista va a vedere. Roma si bea dei suoi tesori storici, e quando arriva l’architettu­ra d’oggi (l’Ara Pacis di Meier, per esempio) arriccia il naso o protesta.

Perché questa resistenza a guardare avanti proprio in una città fatta di tante opere nuovissime ai loro tempi, qualcuna perfino rivoluzion­aria? Si pensi alle novità di Borromini. Secondo alcuni è l’immensa stratifica­zione artistico culturale a frenare ogni slancio, per altri è la mancanza di promessa di futuro a condiziona­re la prospettiv­a. Ma la «grande città» di Libeskind è possibile: a condizione che i romani sappiano condurre ogni energia su progetti concreti ed ambiziosi. Guidati da amministra­tori finalmente adeguati al loro difficile ruolo.

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