Batistuta goleador con le stampelle «Le mie gambe per lo sport che amo»
Festa di Roma Presentato il film «El numero nueve»: storia del calciatore (e dell’uomo) Gabriel Batistuta Campione
Le caviglie sono ancora un problema, così Omar Gabriel Batistuta ha dovuto sfilare alla Festa del Cinema con un tutore alla gamba sinistra. L’ex calciatore argentino, ed ex idolo romanista, ha presentato ieri in anteprima mondiale il docufilm El numero nueve, in cui racconta la sua vita: «Mi svelo nelle gioie e nei dolori, come gli infortuni e l’addio al calcio».
Riservato, anzi riservatissimo. E geloso della vita privata. Tanto che quel suo «Irina ti amo!», urlato dopo aver segnato il gol della vittoria per la Fiorentina nella Supercoppa italiana del 1996, rimase alla storia come il gesto calcistico più intimo e liberatorio mai compiuto da Gabriel Omar Batistuta. Che ieri, invece, ha sfilato tra le star della Festa del Cinema per presentare in anteprima mondiale El numero nueve, il docufilm diretto da Pablo Benedetti in cui ripercorre la sua vita, profescolse sionale ma anche privata.
«Avevo voglia di raccontarmi — confessa il calciatore — Dopo tanti anni passati a preservare la sfera intima, tenendo la famiglia lontana dai riflettori, ho sentito che era il momento di aprirmi ai tanti tifosi che continuano a dimostrarmi affetto. Oltre ogni aspettativa. Se penso che il mio addio al calcio risale a vent’anni fa, mi sembra ancora più incredibile che tutto questo tempo non sia riuscito a cancellarmi dal cuore della gente». Un addio doloroso, segnato dai mille, gravi, problemi alle caviglie, che ancora oggi lo costringono a indossare un vistoso tutore.
Gabriel, di sicuro, non possono dimenticarlo Firenze (dove ha giocato quasi dieci anni con la maglia numero 9, appunto) e la Capitale, che lo acnel 2000, a 31 anni, acquistato dalla Roma per la cifra record di 70 miliardi di lire, all’epoca la più alta mai spesa per un calciatore ultratrentenne. A buon ragione, si può dire a posteriori: il campione argentino si guadagnò subito l’appellativo di «Batigol», segnando venti reti in campionato e contribuendo al terzo scudetto giallorosso. L’unico rammarico da romanista, forse, fu di non poter vestire quel «suo» numero 9, già occupato da Vincenzo Montella. «E quei gol contro la Fiorentina — ricorda — All’inizio non fu indolore centrare la porta dell’ex squadra. Scese anche qualche lacrima dopo un gol, ma i tifosi romanisti furono straordinari: capirono e rispettarono la mia emozione. Il calcio è una passione ma soprattutto un mestiere, che io ho scelto consapevolmente. Non sono nato Maradona, col pallone tra i piedi fin da piccolo. Ho lavorato duramente per ottenere certi risultati».
Batistuta lo racconta in prima persona nel film, girato tra Argentina e Italia. «Non volevo che altri parlassero per me — dice — perché l’immagine riflessa al di fuori quasi mai coincide con quello che senti. E invece volevo essere limpido, nelle gioie e nei drammi, come quello alle caviglie. Benedetti mi ha concesso di farlo, senza impormi un copione». Il risultato è una pellicola tra atmosfere private e plateali eventi sportivi, partendo dalla provincia di Santa Fe per seguire la parabola umana di Batistuta.
«Sapevo tirar calci al pallone, volevo guadagnare per farmi una famiglia, così a 18 anni scelsi il calcio — conclude — Non ero un prodigio. La carriera mi costò impegno, studio e sacrifici. Esattamente come a un medico o un avvocato. La gente credo mi ami proprio perché sono un uomo come tanti. E ora mi godo la nuova vita fuori dal campo: in campagna, dove coltivo i miei hobby ed esorto i miei figli a migliorarsi sempre: è il segreto della felicità».
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Autobiografia
Dopo tanti anni passati a preservare la mia sfera intima, ho sentito che era il momento di aprirmi
Gabriel Omar Batistuta e Irina Fernandez si sono conosciuti nel 1986 e subito innamorati. Dal loro matrimonio, nel 1990, sono nati quattro figli