E IL TEVERE TORNA SIMBOLO
Fino a pochi anni fa, in una diceria ancora in corso tra i meno avvertiti, il fiume figurava come un ricettacolo di immondizie. E in molti media ancora vigeva la nomea che considerava il Tevere «una fogna a cielo aperto», contro la quale mi sono per decenni battuto. Finalmente, grazie a un doveroso revival dovuto a tentativi di recupero in una città altrimenti in abbandono, questo antico torrente (il suo corso è definito «torrentizio») ammantato di storia sta recuperando stima e affetto. Già condannato alla prigionia coatta - che l’ha privato di ville e porticcioli come quelli di Ripetta e Ripagrande dai muraglioni innalzati dall’ingegner Cannavaro del 1970 in difesa delle piene - il «biondo» sta risalendo nell’immagine collettiva. Questo, grazie all’apertura di percorsi ciclabili sulle banchine, alle gare di canoe e kayak organizzati anche dal Wwf, ai drammatici graffiti neri del grande artista sudafricano William Kentridge (già purtroppo vandalizzati), alle spiagge per le estati torride dei romani, al recupero dei barconi con ristoranti à la page, e affollati workshop, festival cinematografici e letterari. Grazie a tutto ciò, la simpatia e la frequentazione «fiumarola» stanno risalendo. In più, una flora avventizia e una fauna di tutto rispetto di cui mi riservo di scrivere su queste pagine, contribuiscono al fatto che il Tevere sta finalmente occupando come altri fiumi europei, più grandi e vivibili un ruolo di notevole interesse.